Carlo Bertini per La Stampa
Antefatto, giovedì sera. «Propongo che i nostri eletti diano mille euro al mese in più al partito, con 400 mila euro al mese forse risolviamo qualche problema», dice uno dal palco. Boato in sala, applausi scroscianti. Passa mezz'ora. Ad un certo punto Antonio Misiani, il tesoriere - costretto a replicare a decine di obiezioni sulla ratio politica di questa «resa totale» - dice «sapete, il premier su questa vicenda ci sta mettendo la faccia...» e dal fondo della sala si leva un urlo, «e noi il...».
È l'unica battuta scurrile che strappa una risata liberatoria in un'assemblea tormentata. Ma la rabbia è tanta e giustifica tutto. Largo del Nazareno, terzo piano della sede nazionale dei Democratici, 700 mila euro l'anno di affitto per tre piani in pieno centro storico, nel grande salone con i soffitti a cassettoni si consuma il dramma di 200 dipendenti messi di fronte al «quadro drammatico» che il taglio dei fondi ai partiti comporterà di qui in avanti. «Ma quando hai metà degli italiani che non vanno a votare e un quarto che votano Grillo non puoi far finta di nulla», prova a convincerli Misiani...
Day after, cioè ieri: appena il governo vara la madre di tutte le leggi per combattere l'antipolitica, subito sotto il portone del Pd spuntano reporter e telecamere, a cercare battute, commenti di chi con fastidio mal sopporta questo «sciacallaggio». Perché la reazione è della serie, «ma come? Siete quelli che avete messo alla berlina i partiti per anni e venite qua sotto a chiedere "come ti senti ora che rischi di perdere il posto?"». Mugugni, brusii nei corridoi, brutte sensazioni.
Ma più che il premier, l'imputato numero uno sono i parlamentari e i dirigenti, cioè tutti quelli che, a parte l'elargizione mensile di 1.500 euro ciascuno (7,5 milioni di euro l'anno al partito), non stanno difendendo la «ditta». Che vive una sindrome da abbandono, «anzi di vero e proprio tradimento», sibila qualcuno. Perché non solo il vertice è accusato di essersi piegato al «grillismo», non solo è imputato di aver speso troppi soldi per la campagna delle elezioni, «per ottenere risultati pari a zero»; ma paradosso del paradosso, nella sua fase più drammatica la «ditta» è pure guidata da un ex sindacalista come Epifani che ha poche armi per proteggere i suoi lavoratori.
«Oggi l'unico ammortizzatore possibile è la cassa integrazione in deroga, perché i partiti sono associazioni non riconosciute e i loro dipendenti hanno meno diritti di imprese anche piccole, che possono contare su cassa ordinaria e straordinaria e contratti di solidarietà, noi neanche sui prepensionamenti».
E quindi? Quindi scatta la spending review, due anni fa la «ditta» costava 45 milioni, ne potrà spendere la metà, senza sapere quanti soldi arriveranno davvero: dunque, contratti d'affitto disdetti, via due appartamenti in via del Tritone, resta l'altra sede di via Tomacelli, per tesoreria e quei dipartimenti che non entrano al Nazareno. Consulenze tagliate, forniture rinegoziate, carta e tutto il resto. Non ci sono più soldi per i pullman, per questo piazza San Giovanni era deserta, buffet monacali ai congressi...
E per far fronte alla bisogna, ecco la rivoluzione, molti lavoratori saranno trasformati in «fundraiser». Il Pd si ingegnerà in «una forma di ricollocamento di alcune professionalità», spiega Silvana Giuffré, «senior» del dipartimento Enti Locali, che insieme ad altri due colleghi cura la rappresentanza sindacale interna. «Ragioniamo su come muoverci per evitare fuoriuscite traumatiche. Bisogna formare soggetti che si attivino per promuovere i contributi volontari. Certo le lamentele sono tante, molti contestano che in campagna elettorale si era detto che non andava toccato il finanziamento pubblico...».
Sono 200, molti contratti a tempo determinato, ci sono quelli dai primo al terzo livello, i funzionari e ci sono i quadri, gli stipendi variano dai 1.500 ai 3.500 euro. Una quarantina già ricollocati con i ministri Pd o al seguito dei deputati.
E l'allarme scatta anche nel Pdl, anche lì c'è il nodo esuberi per 200 dipendenti, cercasi nuova sede, via dell'Umiltà è cara, «abbiamo gli stessi problemi del Pd», ammette il tesoriere Maurizio Bianconi: contratti a termine congelati, neanche si parla di cassa integrazione. Summit la prossima settimana degli amministratori con il Cavaliere. La mission è tagliare i costi, disdetti molti contratti di sedi regionali e provinciali. «L'obiettivo vero - è l'accusa di Bianconi - non è abrogare il finanziamento, ma abolire i partiti...».