Giorgio Meletti per il "Fatto quotidiano"
‘'Scocca l'ora di Fabio", titolava due mesi fa il Corriere della Sera. E infatti, dopo aver arrestato in luglio il padre Emilio e il fratello Nicola, i magistrati stavano già preparando la custodia cautelare in carcere per Fabio Riva, il vero gestore dell'Ilva di Taranto. E ovviamente il titolo del quotidiano, milanese come la famiglia Riva, non si riferiva alla malasorte giudiziaria, ma al fatto che, con mezza famiglia ai domiciliari, toccavano a Fabio le decisioni importanti.
fabio rivaDopo il mandato di arresto di lunedì mattina, le voci lo danno a Miami, da dove si tiene in contatto con gli avvocati per valutare le prossime mosse. Emilio e Nicola sono ai domiciliari, per Fabio c'è invece pronta una cella, prospettiva non esaltante.
Ancora meno esaltante è la prospettiva illustrata ieri in Parlamento dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini: rimettere a posto l'Ilva di Taranto, cioè rendere accettabile l'impatto ambientale della più grande acciaieria d'Europa, richiederà all'azienda l'investimento di 3 miliardi di euro nei prossimi anni, esclusi i costi di bonifica.
ILVADunque la mitica Autorizzazione Integrata Ambientale, quel set di regole all'interno delle quali l'acciaieria dovrebbe proseguire attività e produzione, e che i critici considerano una foglia di fico, imporrebbe ai Riva di mettere mano al portafoglio, pesantemente: stiamo parlando di un'azienda che fattura attorno agli 8 miliardi all'anno, e che fa qualche centinaio di milioni di utili negli anni buoni, e centinaia di milioni perde negli anni cattivi, vista la sempre fortissima fluttuazione dei prezzi dell'acciaio.
ILVA ALTOFORNO CINQUEI Riva tengono all'estero la cassaforte che controlla il gruppo. È vero che l'Ilva non ha mai distribuito dividendi, e i Riva dichiarano di aver reinvestito tutti gli utili, però sicuramente qualche rivolo di profitti è finito nelle casse estere della famiglia. Resta però un mistero se è abbastanza per finanziare il risanamento dell'Ilva e soprattutto, in caso affermativo, se i Riva hanno voglia di aprire il portafoglio per la fabbrica di Taranto.
I 3 miliardi di investimenti imposti dall'Aia potrebbero essere superiori agli utili dei prossimi anni, ammesso che utili ci siano. Alla domanda se questo onere sia compatibile con la sopravvivenza economica dell'acciaieria, Clini per ora non risponde: lui fa il ministro dell'Ambiente e le centinaia di prescrizioni dell'Aia sono la sua linea del Piave, almeno così dice, mentre ha cominciato a rifiutarsi di fare supplenza al latitante ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, in questi giorni in Cina, cioè assai lontano, come sempre quando ci sono grane.
SCHEDA CORRADO CLINII Riva, dunque, devono decidere che cosa fare da grandi, e chi ha gli strumenti per fare la scelta è proprio Fabio. Il 58enne ragioniere, titolo con il quale i suoi dipendenti e consulenti sono stati abituati a riverirlo, appare nella ricostruzione dei magistrati tarantini il vero protagonista e tessitore dell'associazione a delinquere di cui peraltro la leadership viene attribuita al padrone vero, l'86enne Emilio Riva.
Corrado PasseraMa è Fabio il crocevia di telefonate fittissime con cui soprattutto Girolamo Archinà, il lobbista arrestato lunedì, relaziona su tutte le mosse che il gruppo fa nella complicata scacchiera delle autorizzazioni ambientali: corruzione e falso gli altri reati contestati a Fabio Riva insieme a quello principale.
Gli scambi tra Fabio e Girolamo che le intercettazioni ci restituiscono sono esemplari. Archinà parla, parla, forse millanta, Riva normalmente risponde a monosillabi, poi fa partire qualche ordine secco. Sembra avere un rapporto sfocato con il mondo politico. Quando va a parlare con il governatore Nichi Vendola e i suoi uomini alla regione Puglia, ha una reazione di raccapriccio, confidata al figlio: "Ci sono dei belli elementi lì, bisogna starci molto all'occhio". E infatti.