Stefano Folli per “la Repubblica”
Alla fine la scelta ha preso forma. Nessun patto di ferro; nessun nome segreto concordato fra Renzi e Berlusconi, come i cultori di fantapolitica avevano ipotizzato; nessun coniglio estratto a sorpresa dal cilindro del prestigiatore. Più semplicemente la logica politica ha prevalso. E la logica indicava a Renzi una priorità: ricostruire la coesione interna del Pd, del quale il premier è pur sempre il segretario. E l’unità non poteva essere un mero artificio retorico, tanto meno la pretesa che tutti si uniformassero alle decisioni del capo, quali che fossero.
Così è emerso il nome di Sergio Mattarella. All’inizio era soprattutto un modo per arginare la spinta a favore di Giuliano Amato, protagonista la minoranza di Bersani e D’Alema in sostanziale sintonia con Berlusconi. Su questo Renzi vedeva profilarsi il rischio di una sconfitta campale. Si dirà: perché non ha proposto egli stesso il nome di Amato, personalità autorevole in linea di continuità con Napolitano, uomo di grandi relazioni internazionali, conoscitore come pochi della macchina istituzionale e amministrativa?
La risposta ufficiale è che Amato è impopolare, troppo legato nel sentire collettivo alla Prima Repubblica, non compatibile insomma con il renzismo giovanilista. Si poteva peraltro immaginare che, proprio nella scelta del nuovo capo dello Stato, il premier volesse affrancarsi dal modello del «rottamatore». Ma così non è, forse anche perché eleggere Amato al Quirinale vuol dire comprimere il ruolo del presidente del Consiglio in molti campi, soprattutto sul palcoscenico europeo e nei rapporti con gli Stati Uniti.
Ecco allora che Mattarella è diventato strada facendo un candidato vero e solido. Senza dubbio la predilezione di Renzi andava ad altri profili, da Padoan a Delrio: figure da lui meglio conosciute anche sul piano personale. Ma poi si è convinto che il riservato uomo di diritto, rigoroso nella difesa della Costituzione, ex ministro della Difesa di D’Alema, oggi giudice della Consulta, fratello del Piersanti ucciso dalla mafia a Palermo, rappresentava la quadratura del cerchio. Nonostante la proiezione internazionale certo non paragonabile a quella di Amato: ma anche questo, in definitiva, è un pregio agli occhi del presidente del Consiglio che tiene a tessere lui certi contatti.
L’operazione impedisce che il Pd si disgreghi in una lotta intestina; evita — almeno questa è la speranza — che nelle prime tre votazioni, e all’ombra delle schede bianche, lieviti una candidatura spontanea in grado di mettere in imbarazzo il premier-regista. Duecento e più voti a Romano Prodi o anche, chissà, a Pierluigi Bersani finirebbero per mettere in crisi tutte le strategie volte a chiudere la partita senza danni. L’annuncio di Mattarella, che pure non sarà gettato subito nell’arena di Montecitorio, dovrebbe far rientrare nei ranghi i dissidenti, in modo da preparare il terreno all’elezione del giudice nel corso della quarta votazione.
Con quale maggioranza? Renzi si è voluto bruciare i vascelli alle spalle. Toccato dal sospetto di una certa ambiguità nel dualismo fra i due principali candidati, ha rotto gli indugi e fatto sapere che «si comincia e si arriva con Mattarella». Come dire, tutta la posta su un numero.
I voti del Pd più Sel più transfughi grillini e qualche cespuglio potrebbero essere sufficienti. Ma ovviamente il premier ha bisogno che Alfano e Casini, al momento contrari, decidano di confluire sul candidato siciliano, la cui cultura affonda le radici nella sinistra cattolica. E soprattutto egli lascia la porta aperta a Berlusconi. Il quale è stato preso alla sprovvista dalla scelta, tanto è vero che ancora nel pomeriggio di ieri diceva a tutti che «non c’è ancora un nome».
Il patto, insomma, è servito a poco o niente. Anche se nel futuro della legislatura resta viva la prospettiva di una convergenza fra Pd e berlusconiani sulle riforme (e non solo). Renzi ha fatto sapere a tutti, ai suoi e al centrodestra, che il Nazareno non è morto, ma certo non è una diarchia: funziona quando la guida è a Palazzo Chigi e non a Palazzo Grazioli.
renzi con la bandana in testa come berlusconi