Giusy Franzese per “il Messaggero”
Non ha perso tempo l'Anac di Raffaele Cantone. La risposta al ministro Di Maio, che appena l'11 luglio scorso chiedeva - in seguito ad una sollecitazione del governatore della Puglia, Michele Emiliano - di verificare la correttezza della procedura di aggiudicazione dell' Ilva alla cordata AmInvestco Italy capitanata dal colosso mondiale dell' acciao Arcelor Mittal, è arrivata: le criticità nell' iter della gara ci sono.
E non sono nemmeno di poco conto: l'Anac le ha trovate nel rinvio di ben sei anni dell'attuazione del piano ambientale, elemento che «avrebbe potuto spingere più imprese a partecipare alla competizione, aumentando il livello di concorrenza e la qualità delle offerte»; nella non attuazione delle scadenze intermedie dello stesso piano ambientale; nella mancata possibilità di concedere rilanci nonostante la cordata perdente AcciaItalia fosse disposta a farli e la procedura iniziale li prevedesse.
L' Anticorruzione però non decreta l' annullamento della gara, ma passa tutto al ministero dello Sviluppo, ricordando che secondo le attuali normative le irregolarità non bastano a far scattare l' annullamento automatico, ma serve una decisione ad hoc dell' amministrazione che ha gestito il procedimento, la quale deve valutare se è preminente l' interesse pubblico allo stop della procedura. Insomma deve essere il ministro dello Sviluppo Economico a decidere. Di Maio, appena ricevuta la lettera di sette pagine dell' Autorità, ha informato il premier Conte e ha subito convocato a Palazzo Chigi una riunione straordinaria dei tecnici «per valutare i successivi passi da compiere».
LO SCENARIO
A parte le scontate polemiche (l'ex ministro Calenda chiede al governo di pubblicare per esteso la lettera dell' Anac) il verdetto dell' Anticorruzione è una bomba che rischia di far saltare in aria oltre due anni di lavoro e riportare il gruppo Ilva sull' orlo del baratro. Se Di Maio dovesse decidere di annullare tutto e ripartire daccapo, infatti, l' Ilva sarebbe costretta a chiudere per mancanza di soldi.
I commissari straordinari hanno già fatto un mezzo miracolo nel garantire l' attività della produzione fino a metà settembre prossimo, consentendo così di rinviare la data del passaggio di consegna ai vincitori della gara già fissata per il 30 giugno scorso. Da settembre - senza un ulteriore e improbabile prestito dello Stato - le casse resteranno completamente a secco e non si potranno più pagare nemmeno gli stipendi degli oltre 14.000 dipendenti diretti. Si fermerebbero anche le bonifiche a Taranto.
Per poter rifare la gara - o anche solo per riaprirne i termini - servirebbero molti mesi, forse anche un anno. Insomma la scelta ha solo due opzioni per l' Ilva: la vita o la morte. Nel primo caso si deve necessariamente andare avanti con gli attuali vincitori, nell' altro bisognerà prendere atto che l' Ilva chiuderà per sempre i suoi cancelli. A Taranto come a Genova e nel resto della Penisola. I sindacati sono preoccupatissimi.
«È una situazione assurda e senza precedenti - dice Rocco Palombella, numero uno Uilm - occorre fare al più presto chiarezza e trovare prima possibile una soluzione nel pieno rispetto delle regole, che ponga finalmente la parola fine a questo girone infernale». E così Marco Bentivogli, leader Fim-Cisl: «Non spetta al sindacato valutare la regolarità dei procedimenti, quello che chiediamo al governo è di non far trascorrere altro tempo e di prendere una decisione».
PROTESTA DEGLI OPERAI DELL ILVA