LA MANCIA DI MATTEO - RENZI VUOLE BISSARE LA STRATEGIA DEL 2014 QUANDO COL BONUS DA 80 EURO VINSE LE ELEZIONI EUROPEE - A PALAZZO CHIGI PENSANO DI AGGIUNGERE A QUELLO STESSO BONUS ALTRI 20 EURO E DI ESTENDERLO ANCHE ALLE PENSIONI MINIME
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Con la campagna elettorale per le amministrative al kick off, in evidente affanno con l’azione di governo e alla ricerca di consenso, Matteo Renzi si prepara a giocare la carta della mancia. Roma, Milano e Napoli sono in bilico e la débâcle è dietro l’angolo. Ragion per cui, mutuando dalla regola «squadra che vince non si cambia», il premier vuole provare a riutilizzare, di fatto, la strategia che nel 2014 gli assicurò una vittoria clamorosa alle «europee», con il Partito democratico che stravinse quella tornata elettorale toccando il record del 40,8% delle preferenze.
Quei voti furono conquistati con 80 euro. Due anni fa, l’inquilino di palazzo Chigi mise in tasca a una buona fetta di elettori un bonus (da 80 euro mensili, limitando la faccenda ai redditi fino a 26mila euro annui) e in cabina elettorale fu un successo. Ora Renzi vuole di fatto ripartire da lì: portando lo stesso bonus fino a 100 euro e magari estendendolo anche a un’altra consistente fetta di elettorato, ovvero i pensionati con assegno ai livelli più bassi (500 euro). In buona sostanza, stavolta si tratterebbe di dare una mancetta da 20 euro a testa. Palazzo Chigi, ieri, ha provato a smentire il progetto.
Ma l’intervento dei portavoce del premier è stato piuttosto timido: poche righe fatte filtrare alle agenzie di stampa che non smontano l’esistenza del dossier, saldamente in cima a quelli posizionati sulla scrivania del presidente del consiglio.
Che l’esecutivo stia studiando interventi per integrare retribuzioni basse e pensioni minime, in ogni caso, lo ha confermato anche il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, nel corso di una trasmissione televisiva. La nota ufficiale si è resa necessaria anche per un’altra ragione: il fascicolo per ora è top secret; Renzi non ne ha parlato né col titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, né con i maggiorenti del Pd.
Al momento non è stato confezionato un testo scritto né un articolato normativo. Secondo le indiscrezioni circolate in questi giorni, gli esperti economici di palazzo Chigi - quelli che lavorano col sottosegretario Tommaso Nannicini - stanno mettendo a punto solo le primissime simulazioni tecniche. Renzi ha chiesto il massimo impegno. Ma la valutazione non è solo strettamente politica.
Anzi: questo aspetto è spesso preceduto dalle questioni squisitamente finanziarie. Bisogna capire, anzitutto, come il governo intende garantire «copertura finanziaria» al nuovo bonus rinforzato. Il problema dei fondi, se il discorso si limitasse al solo innalzamento del bonus introdotto nel 2014, non sussisterebbe o comunque sarebbe risolvibile immediatamente. Perché per portare la mancia da 80 a 100 euro servirebbero «pochi» quattrini: tra i 2 e i 6,5 miliardi nell’ipotesi più estrema.
Una parte dei fondi potrebbe essere «prelevata» dal rinvio del taglio Ires, per ora in agenda nel 2017 e già «coperto» con mezzi finanziaria pari a 3,6 miliardi. In questo caso, però, Renzi dovrebbe scontentare quel mondo delle imprese che lo sta sostenendo sin da quando si è insediato a palazzo Chigi. Rimandare di uno o due anni l’abbattimento delle aliquote Ires (il principale balzello a carico delle società) non sarebbe, peraltro, il modo migliore di dare il «benvenuto» a Vincenzo Boccia che tra un mese raccoglie il testimone da Giorgio Squinzi alla presidenza di Confindustria: si aprirebbe un’ostilità che alla lunga sarebbe controproducente per l’esecutivo.
C’è un altro nodo. La faccenda diventa assai complessa - al limite di una mission impossible - se si mettono in fila tutte le misure e gli interventi messi sul piatto anche da Padoan nelle ultime settimane. L’inquilino di via Venti Settembre, a esempio, martedì ha svelato l’intenzione dell’esecutivo di voler varare a stretto giro una manovra per sterilizzare le clausole di salvaguardia inserite nelle passate leggi di stabilità. Si tratta di reperire 15 miliardi per evitare che l’Iva, a partire dal 2017, salga progressivamente dal 22 al 25%.
Qui non ci sono molte alternative. O si alzano altre tasse già esistenti oppure si interviene sul versante della spesa pubblica e in questo caso ci sono due opzioni: lotta agli sprechi (ma la cosiddetta spending review non funziona mai) oppure tagli lineari che si traducono in un giro di vite sui servizi pubblici offerti ai cittadini (come scuola, sanità e trasporti).
Il discorso si complica ancora di più se gli interventi desiderati da Renzi in queste ore vengono inquadrati nell’ambito di un quadro macroeconomico tutt’altro che confortante. Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto che la ripresa procede, ma ha avvertito sui rischi legati alle incertezze a livello globale.
Rischi che pesano anche sulle prospettive di crescita dell’economia italiana: il pil all’1,2% per il 2016, messo nero su bianco nel Documento di economia e finanza licenziato dal consiglio dei ministri dell’8 aprile, ha non poche chance di essere corretto al ribasso nei prossimi mesi. Ne conseguirebbero aggiustamenti obbligati anche sul versante della spesa pubblica: il rischio, in questo caso, è vedere il governo costretto ad aumentare la pressione fiscale per cercare di rispettare tutti i parametri di bilancio imposti dall’Unione europea. Altro che tagli di tasse e bonus a pioggia.