MARINE LE PEN VOLA NEI SONDAGGI? ED ARRIVA IL LIBRO DEL FILOSOFO FINKIELKRAUT, “L’IDENTITÀ INFELICE”, CHE SDOGANA PARECCHIE TESI MAL-DESTRE

Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"

C'è un filosofo che da anni parla della società francese in termini problematici, che denuncia la tirannia del «progresso» usato per giustificare qualsiasi evoluzione - per il meglio ma anche per il peggio - del presente, un pensatore che al di là delle sacrosante preoccupazioni umanitarie indaga sulle conseguenze profonde dell'immigrazione di massa - soprattutto musulmana - in Europa.

Alain Finkielkraut fa uscire in questi giorni«L'identité malheureuse», un saggio sull'identità francese, infelice a suo dire perché non ha il coraggio di interrogarsi su se stessa anche se ne avrebbe un gran bisogno: lo stesso giorno in cui il settimanale Le Point pubblicava l'anticipazione del libro di Finkielkraut, con una grande foto in copertina e il titolo «Si può essere ancora francesi?», un sondaggio dava il Front National di Marine Le Pen al 24% delle intenzioni di voto per le prossime europee, issandolo al rango di primo partito di Francia.

«Sì, si può essere ancora francesi!», sembra gridare Marine Le Pen, e questo contribuisce alla sua popolarità. Colei che rivendica il ruolo di paladina della «francesità» contro «il magma indistinto dell'Unione Europea» e l'«invasione islamica», è anche l'unica personalità politica francese in ascesa e può dire ormai «sono pronta per l'Eliseo» senza suscitare gli sguardi di compatimento riservati un tempo al padre.

Il successo di Marine Le Pen lascia sgomenti, e il saggio di Finkielkraut arriva con involontario tempismo e spiegarne - almeno in parte - i motivi. Prima di tutto, dice il 64enne filosofo, «se l' identità francese è infelice è perché l'abbiamo abbandonata nelle mani dell'estrema destra. Questo rende più difficile a tutti gli altri esprimersi sull'argomento».

Finkielkraut affronta da tempo questioni come assimilazione e multiculturalismo, decadenza della scuola e pericoli del relativismo. Per tutta risposta si è preso molti attacchi verbali e uno anche più concreto: venerdì mattina, durante il suo discorso d'addio alla prestigiosa «École polytechnique» di Parigi dove è stato professore di Scienze sociali dal lontano 1988, un gruppo di studenti lo ha preso a torte in faccia. Le parole di Finkielkraut non lasciano mai indifferenti.

«Nel 2009 sono stato alla scuola elementare di rue des Récollets, dove ero allievo - scrive Finkielkraut -. All'ingresso, attaccata al muro, una grande mappa del mondo con tante fotografie di bambini, spillate per la maggior parte sui Paesi del continente africano. Sotto, questa legenda: "Sono fiero di venire da...".

Ho potuto allora misurare il cambiamento. I miei genitori sono nati entrambi in Polonia, si sono incontrati dopo la guerra in Francia e abbiamo tutti beneficiato di una naturalizzazione collettiva quando avevo un anno. Mai la scuola mi ha fatto vergognare delle mie origini. Mai mi ha chiesto di dimenticare la mia genealogia. Ma neanche mi ha mai chiesto di vantarmene. La scuola mi chiedeva di stare attento, di fare i compiti, mi giudicava secondo il mio merito. L'origine era fuori tema».

Finkielkraut grande antimoderno, reazionario, (nella perenne accusa degli altri) irriducibile difensore della lingua francese contro le sue degenerazioni televisive e non solo («i nostri governanti parlano francese come dei bambini»).

Finkielkraut che non vuole «confondere tra chi accoglie e chi viene accolto, altrimenti la Francia non è altro che un aeroporto. A Roissy o a Heathrow siamo tutti differenti e tutti uguali. Per non ripetere gli orrori del XX secolo, si vorrebbe trasformare in aereoporti le collettività umane. Strana utopia».

Nella Francia di Hollande presidente e Marine Le Pen trionfante, il libro di Finkielkraut fa discutere: vuole sottrarre il tema dell'identità all'estrema destra, ma è accusato di contribuire al clima culturale che la rafforza.

 

 

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