Da Ansa
La Russia ha dislocato nella sua base siriana di Khmeimim due caccia SU-57 di quinta generazione (ovvero con tecnologia stealth). E' la prima volta che questi aerei vengono utilizzati attivamente. Lo riporta Meduza che cita a sua volta il blogger Wael Al Hussaini, che ha pubblicato su Twitter un video con i due velivoli. I jet SU-57 sono 'il gioiello della corona' dell'aviazione russa. Mosca avrebbe inoltre inviato 4 jet SU-35, 4 SU-25 e 1 aereo da ricognizione A-50U. Il ministero della Difesa non ha commentato.
E' di una decina di morti il bilancio di nuovi raid aerei governativi sulla Ghuta orientale, l'area a est di Damasco assediata dalle truppe lealiste e controllata da gruppi anti-regime. Lo riferiscono fonti mediche, citate dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani, secondo cui i bombardamenti più intensi proseguono nella parte sud della Ghuta, in particolare a Kfar Batna, dove si registrano le prime vittime di stamani.
Ieri, un mese esatto dopo l'inizio dell'offensiva turca su Afrin, nel nord della Siria, milizie fedeli al regime di Damasco sono entrate nell'enclave per cercare di dare man forte alle unità curde, portando a livelli di guardia le tensioni tra Ankara e Damasco. L'artiglieria turca ha immediatamente risposto, costringendo le milizie filo-Assad a ritirarsi di una decina di chilometri, secondo l'agenzia turca Anadolu.
Alle porte di Damasco, intanto, si è consumata una delle peggiori tragedie dei sette anni di conflitto civile. Quasi 250 civili, di cui 57 bambini o adolescenti, sono stati uccisi a partire da domenica dai bombardamenti governativi con artiglieria, aerei ed elicotteri sulla regione della Ghuta orientale, controllata da una congerie di gruppi ribelli e fondamentalisti. Questi ultimi hanno risposto facendo piovere razzi e obici di mortaio su alcuni quartieri della capitale, dove almeno 8 civili, di cui 3 bambini, sono stati uccisi e 15 feriti.
La situazione nella regione della Ghuta orientale, in Siria, va "oltre l'immaginazione", ha detto alla Bbc il coordinatore umanitario regionale delle Nazioni Unite, Panos Moumtzis, alla luce degli ultimi tre giorni di bombardamenti da parte delle forze governative.
La sconfitta militare dello 'Stato islamico' non ha messo fine alla guerra in Siria, cominciata ben prima dell'avvento dell'Isis nel 2013, e destinata a continuare a lungo mentre le cellule jihadiste si riorganizzano in clandestinità in aree "liberate", controllate da un mosaico di eserciti regolari, milizie, signori della guerra siriani e stranieri. Nella Siria dilaniata dalla guerra si combattono due conflitti principali: uno a ovest, dove la Russia, l'Iran, la Turchia e la Giordania si stanno spartendo i territori che vanno dall'estremo sud al confine col regno hascemita, all'estremo nord alla frontiera turca; e uno a est, lungo la valle dell'Eufrate, nella parte più ricca dal punto di vista energetico, dove gli Stati Uniti sostengono il Pkk curdo per arginare l'avanzata russo-iraniana verso l'Iraq.
Negli accordi siglati ad Astana, in Kazakhstan, la Russia ha raggiunto l'anno scorso con Turchia e Iran un'intesa - detto di "de-escalation" - in cui i tre Paesi stabiliscono delle linee di demarcazione tra le rispettive aree di influenza: alla Turchia il nord-ovest, anche se c'è da sciogliere il nodo dell'enclave curda di Afrin e del distretto di Manbij, conquistato dai curdi ma rivendicato da popolazioni arabe.
Alla Russia la zona costiera, con le importanti basi militari, aeree e marittime sul Mediterraneo, e ampie zone della Siria centrale e dell'area di Damasco. All'Iran la zona attorno al Libano, dove opera la milizia filo-iraniana Hezbollah, presente in Siria da anni, e vaste aree a ridosso delle Alture del Golan, controllate da Israele ma rivendicate dalla Siria. Lungo questo asse, rimangono delle sacche di oppositori armati ormai quasi del tutto controllati da attori esterni: dalla Turchia nel nord-ovest, dalla Giordania nel sud, dal Qatar e dall'Arabia Saudita nel nord e nel centro del paese.
Nell'est e nel nord-est, l'ala siriana del Pkk, appoggiata dalla Coalizione a guida Usa e che al suo interno ha coinvolto milizie di altre comunità, si è allargata a zone non curde ma miste o del tutto arabizzate, come Raqqa, ex capitale dell'Isis in Siria, e la riva orientale del distretto di Dayr az Zor, tradizionalmente feudo di tribù sunnite legate a quelle della vicina regione irachena di Anbar, da 15 anni culla del qaidismo e del jihadismo.