1 – BREXIT: MAY OTTIENE LA FIDUCIA DEL PARLAMENTO
theresa may alla camera dei comuni
Il voto di ieri sulla Brexit dimostra che il governo Tory di Theresa May non ha una maggioranza sulla "questione più vitale che è di fronte" al Regno Unito e non è in grado di controllare la Camera dei Comuni. Lo ha sottolineato il leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn, formalizzando oggi la mozione di sfiducia e aprendo il dibattito. "Il governo ha fallito, restituisca la parola al Paese", ha detto Corbyn, sollecitando l'approvazione della mozione e la strada di elezioni anticipate.
jeremy corbyn alla camera dei comuni
Theresa May ha chiesto ai Comuni di respingere la mozione, additando le elezioni anticipate dopo la bocciatura ieri del suo accordo sulla Brexit come "la peggiore strada possibile". Le elezioni - ha detto la premier Tory replicando a Jeremy Corbyn - non sono nell'interesse nazionale: porterebbero divisione mentre il Paese ha bisogno di unità, incertezza quando servono certezze e un ulteriore rinvio mentre il popolo britannico vuole guardare avanti".
theresa may alla camera dei comuni 2
Il voto di ieri sulla Brexit dimostra che il governo Tory di Theresa May non ha una maggioranza sulla "questione più vitale che è di fronte" al Regno Unito e non è in grado di controllare la Camera dei Comuni. Lo ha sottolineato il leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn, formalizzando oggi la mozione di sfiducia e aprendo il dibattito. "Il governo ha fallito, restituisca la parola al Paese", ha detto Corbyn, sollecitando l'approvazione della mozione e la strada di elezioni anticipate.
Theresa May ha chiesto ai Comuni di respingere la mozione, additando le elezioni anticipate dopo la bocciatura ieri del suo accordo sulla Brexit come "la peggiore strada possibile". Le elezioni - ha detto la premier Tory replicando a Jeremy Corbyn - non sono nell'interesse nazionale: porterebbero divisione mentre il Paese ha bisogno di unità, incertezza quando servono certezze e un ulteriore rinvio mentre il popolo britannico vuole guardare avanti".
2 – BACKSTOP IN IRLANDA, COS’È E PERCHÉ STA FACENDO SALTARE LA BREXIT
Alberto Magnani per "www.ilsole24ore.com"
theresa may alla camera dei comuni 1
Uno fra i nodi irrisolti della Brexit è rappresentato dai confini irlandesi, i 499 chilometri che dividono lo spicchio settentrionale dell'Isola fra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord. L'argomento è tra le controversie che hanno affossato l'accordo siglato da Theresa May con i partner europei, stroncato dalla Camera dei comuni con uno scarto di oltre 200 voti.
Fronde interne ai Tory (il partito conservatore) e al Democratic Unionist Party (il partito di destra nordirlandese che fa da stampella al governo May) non hanno mai digerito la soluzione concordata dalla premier con i leader Ue: il cosiddetto backstop, un accordo per garantire che non vengano eretto un confine fisico fra Irlanda e Irlanda del Nord.
CORBYN DA' DELLA STUPIDA A THERESA MAY
Perché il tema è così delicato?
Dopo la Brexit, il confine irlandese si trasformerebbe nell'unica frontiera di terra fra la Gran Bretagna (che include l'Irlanda del Nord) e l'Unione europea (che include l'Irlanda, entrata nella Ue nel 1973). Oggi il confine tra i due è invisibile, aperto alla circolazione reciproca di merci e cittadini. Il problema di come valorizzarlo non è mai emerso finché la Gran Bretagna è rimasta all'interno della Ue insieme all'Irlanda. Diventa cruciale ora, visto che Irlanda e Irlanda del Nord si troverebbe improvvisamente soggette a regole doganali diverse: la prima nel mercato unico europeo, la seconda nello spazio autonomo che si vorrebbe ritagliare Londra.
BATTIBECCO TRA THERESA MAY E JUNCKER
Nessuno vuole ripristinare i confini, perché un irrigidimento delle frontiere si ripercuoterebbe sull'interscambio interno (dal valore di circa 3 miliardi di euro nel 2016) e risveglierebbe vecchie tensioni politiche, in teoria pacificate dalla fine degli anni ‘90. Da qui la scelta di tamponare il problema con la “polizza” del backstop.
Ma cosa vuol dire? E come si manifesta?
Il termine backstop, preso in prestito dal baseball, indica la rete di protezione dispiegata alle spalle del ricevitore: si allude a una soluzione di emergenza per tenere la «palla nel campo» ed evitare che vada a sbattere, figurativamente, sulla faccia degli spettatori. Nel contesto della Brexit, è il compromesso sui confini irlandesi raggiunto da Theresa May nel patto siglato con i partner europei a novembre 2018.
La clausola assicura che non sarà imbastito alcun «hard border» (confine fisico) fra Irlanda e Irlanda del Nord qualora Regno Unito e Ue falliscano nel trovare una partnership commerciale sul lungo periodo. Il Regno Unito dovrebbe restare allineato all'unione doganale, cioè rispettarne i principi di base; l'Irlanda del Nord rientrerebbe in pieno nell'unione doganale e dovrebbe, in aggiunta, rispettare alcune norme del mercato unico europeo.
theresa may annuncia l'accordo sulla brexit
In teoria, il divorzio fra Londra e la Ue dovrebbe scattare il 29 marzo 2019, con un periodo di transizione per metabolizzare i vari accordi in scadenza al 31 dicembre 2020. Il backstop potrebbe servire solo dopo quella data, in assenza di un accordo bilaterale che lo renda superfluo. «Ma gli accordi richiedono anni, non mesi – dice al Sole 24 Ore Matteo Villa, ricercatore Ispi – Quindi è probabile che rimanga il backstop. L'accordo peggiore, ma l'unico possibile».
Perché è criticato?
L'accordo di backstop ha suscitato le ire sia dei cosiddetti Hard Breexiter, i difensori più strenui di una Brexit dura e pura, sia degli unionisti nordirlandesi. I primi ritengono che la permanenza nell'unione doganale sia la negazione stessa della Brexit, visto che obbligherebbe la Gran Bretagna a restare - di fatto - nel perimetro delle regole commerciali Ue.
Una limitazione che impedirebbe al paese di fissare una tariffa doganale autonoma, vanificando la retorica sulle «nuove politiche commerciali» di un paese affrancato da Bruxelles. I secondi temono che il backstop sia il primo passo per isolare l'Irlanda del Nord dal resto della Gren Bretagna, rompendo l'unità del Regno e “consegnando” Belfast alla Ue e all'Irlanda. In aggiunta il Regno Unito non potrebbe recedere unilaterlmente dall'accordo: l'ennesima prova, a detta dei più critici, della «dipendenza da Bruxelles» dell'Isola.