NAPOLI SCONSACRATA - 200 MERAVIGLIOSE CHIESE CADONO A PEZZI NELL’INDIFFERENZA GENERALE

Marisa Ranieri Panetta per L'Espresso

Nessuna città, come Napoli, fa toccare con mano il sublime e il degrado. Accanto a monumenti e musei unici al mondo, ora lo sfacelo riguarda le chiese: circa duecento edifici religiosi chiusi al culto, circondati da immondizie, soffocati dalle macchine, sprangati da lamiere, deturpati da graffiti, dove uccelli entrano dai vetri rotti.

Luoghi che nel tempo hanno sfoggiato marmi preziosi, sono stati laboratori per innovazioni artistiche, espressioni di mecenatismo illuminato, appaiono all'interno territori di conquista per moderni lanzichenecchi.

Come può documentare "l'Espresso", sono stati divelti altari, strappati quadri, mozzate statue, asportate acquasantiere e ornamenti lignei: un saccheggio sistematico, che ha avuto il suo clou negli anni Ottanta del secolo scorso, dopo il terremoto, quando si entrava nelle navate addirittura con i camion per rapine all'ingrosso, ma che è proseguito indisturbato anche dopo.

Sono tante le chiese restaurate o riaperte negli ultimi vent'anni, le opere d'arte recuperate, ma l'assenza di controlli, e soprattutto di regole condivise, ha provocato voragini nel tessuto sociale, non solo nel pavimento di San Carlo alle Mortelle, tuttora a rischio di crollo. La religiosità senz'altro era più sentita in passato; colpisce però la mancanza di rispetto, l'indifferenza verso luoghi che nei secoli sono stati intrecciati strettamente alla vita dei vicoli, quando edicole e cappelle sorgevano per iniziativa popolare.

È il caso della secentesca Santa Maria Vertecoeli, più tardi ampliata, nel cuore della città greco-romana, che ancora mantiene l'antico reticolo stradale: un inno alla Vergine, con teschi e tibie sulla facciata a ricordare la precarietà delle cose terrene. Nessun ricordo rilevante è rimasto di tanta devozione, a parte la struttura esterna; gli atti vandalici hanno infierito sugli ornamenti più preziosi sconfinando nel vicino Oratorio, dove l'organo antico è stato strappato dal suo alloggiamento e torturato da crudeli aguzzini: canne contorte e meccanismi distrutti.

Alcune chiese mantengono nomi dei quali si è perso il significato originario, e talvolta anche l'uso. E se Santa Maria delle Mosche e San Giovanni della Disciplina ospitano negozi, e San Salvatore agli Orefici addirittura la cucina di una trattoria, la cosiddetta "Scorziata", fondata da tre nobildonne nel Cinquecento e poi oggetto di rifacimenti, versa nella più completa fatiscenza, razziata e poi distrutta da un recente incendio. C'erano tele di pittori manieristi e una crocifissione affrescata all'epoca della costruzione, rinvenuta in un sotterraneo.

Fosse stata ancora nel suo splendore, la sposa colta dall'obiettivo del fotografo al braccio del padre, anziché passare oltre i cassonetti dell'immondizia davanti all'ingresso, si sarebbe diretta verso l'altare maggiore della chiesa che conservava il paliotto settecentesco in marmo della "Presentazione al Tempio". Sono davvero troppi, i capolavori perduti, anche per la città "dalle cinquecento cupole", che nei secoli ha accumulato un patrimonio senza eguali.

C'è però un limite anche allo sfacelo. La distruzione e lo stato di abbandono di tanti edifici hanno provocato la reazione di associazioni, religiosi, responsabili della tutela, organi di stampa: insieme alle denunce, si sono levate proteste e avviati provvedimenti, in un groviglio di competenze. Difatti, per non farsi mancare niente, la proprietà delle chiese partenopee è suddivisa fra Arcidiocesi, Comune, Fec (Fondo edifici di culto del ministero degli Interni), Demanio, Confraternite, privati, persino Asl, e di qualcuna non si conosce l'appartenenza.

«Deve comunque cambiare il modo di lavorare di tutti gli enti preposti alla conservazione e alla tutela», sostiene Fabrizio Vona, soprintendente da un anno e mezzo per il Patrimonio storico artistico e il Polo Museale.

«Si fa poca manutenzione, e invece è questo l'aspetto più importante da perseguire: se, ad esempio, si rimuovono subito le vegetazioni cresciute sul tetto, si evitano disastri successivi. Si deve iniziare senza perdere tempo da una cura sistematica, altrimenti il restauro costa molto di più. Napoli ha mille difficoltà ma resta la città italiana più vitale: tante associazioni si danno da fare, ci aiutano a coinvolgere l'opinione pubblica. Per aprire alcune chiese accessibili, anche per qualche ora, ci stiamo avvalendo dei lavoratori socialmente utili messi a disposizione dal Comune: è importante dare un segnale di presenza, di controllo sul territorio».

Per raggiungere questo obiettivo, il cardinale Crescenzio Sepe ha promosso nel 2011 un Giubileo per Napoli, nel cui ambito ha lanciato un bando per "affidare" chiese e luoghi religiosi a enti, ordini professionali, associazioni, con la possibilità di utilizzare gli spazi per le loro attività e l'impegno di provvedere a restauri e manutenzione. «Sono arrivate oltre centocinquanta richieste», riferisce padre Eduardo Parlato, direttore dell'Ufficio Diocesano per i beni culturali.

«La commissione preposta per la valutazione, che si avvale anche di esponenti delle soprintendenze e delle università Federico II e Sun, procede con comprensibile discrezione ma ha già firmato il comodato per sette chiese». Uno degli edifici che, nonostante le spoliazioni, sta proseguendo i lavori di restauro è quello di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli.

Appartenente al Fec, oggetto di un'importante e costosa ristrutturazione da parte della soprintendenza per i Beni architettonici diretta da Giorgio Cozzolino, è stata culla dell'umanesimo partenopeo - qui veniva a pregare Jacopo Sannazaro - e vanta ancora decorazioni eccezionali in arenaria grigia che raffigurano figure grottesche e animali mostruosi.

Dobbiamo la loro conservazione allo scarso interesse mostrato dai razziatori, che non hanno risparmiato l'altare maggiore, e al coinvolgimento di Benedetto Croce. Il filosofo napoletano era infatti molto legato a questa chiesa, frequentava il parroco Lamberto Solimena, e ne condivise l'eliminazione dello strato di calce che nascondeva il plasticismo decorativo. Un altro luogo di alto valore storico e artistico del Fec, che si appresta ad essere riconsegnato a breve alla comunità, è la Sacrestia dei SS. Severino e Sossio all'Archivio di Stato: un arredo ligneo del Cinquecento sormontato da affreschi.

La consolazione dura poco, basta arrivare alla salita Pontecorvo. Nei secoli scorsi questa strada era un'isola di istituzioni religiose, soprattutto conventuali, con quattro chiese. Chiuse. Al culmine c'è quella dedicata a Gesù e Maria, terminata su progetto di Domenico Fontana. Era stata murata per difenderla da ulteriori furti, riaperta un anno fa e ora di nuovo serrata e invasa da erbacce sulla gradinata di accesso. All'interno mancano marmi e altari, le cancellate delle diverse cappelle, e poi macerie, lapidi divelte; solo gli affreschi sotto gli archi laterali sono in buono stato. Il sarcofago di Isabella Guevara del 1671, antenata dell'ammiraglio Francesco Caracciolo, è a terra; nemmeno la statua della defunta, mutilata, può riposare in pace.

Potranno cambiare molte cose con i finanziamenti destinati al Centro storico di Napoli, Patrimonio Unesco, che l'Unione europea ha stanziato nel 2011, finalmente in dirittura d'arrivo dopo un iter controverso. La somma iniziale consisteva in 240 milioni di euro (20 del Comune) per interventi edilizi, e in 80 milioni destinati ad altre misure, secondo il Piu (Programma integrato urbano); ma la Regione, o meglio l'assessorato all'Urbanistica, aveva sostituito questa disposizione con un "Grande Progetto" che ha dirottato per altre opere una bella fetta di fondi. Chi decide ora le priorità di intervento? E quando avranno inizio i lavori?

Dalla cabina di regia, che comprende rappresentanti degli enti locali e della Direzione regionale dei beni culturali, l'architetto comunale Giancarlo Ferulano, responsabile del procedimento, assicura a "l'Espresso": «A settembre bandiremo le gare per i vari lotti».

E specifica: «Abbiamo 100 milioni a disposizione. Di questi, 70 riguarderanno la ristrutturazione e il recupero di complessi monumentali, cito per tutti quello degli Incurabili che comprende la straordinaria Farmacia (i lavori della chiesa Santa Maria del Popolo toccano invece alla Asl, perché di sua pertinenza); 30 saranno destinati alla riqualificazione urbana. Nel piano sono incluse molte chiese: alcune aperte al culto ma bisognose di restauri, come San Lorenzo Maggiore, il Duomo, Santa Maria Maggiore; altre sedici chiuse da tempo, come S. Maria delle Colonne, la Scorziata e il Monte dei Poveri, che contiene oltre 500 opere d'arte depositate dalla Curia».

Il piano è concentrato nel perimetro che viene definito "Centro antico", dove si stabilirono i greci e poi arrivarono i romani; il Centro storico è molto più esteso, comprende anche la città barocca e settecentesca «Non è stato facile far estendere la tutela di queste zone nel Piano regolatore del Comune: anni di lotte civili e di ricorsi, a Napoli e a Roma, per evitare gli annunciati sventramenti edilizi», ricorda Guido Donatone, presidente di Italia Nostra.

«Solo nel 2004 è stata vinta questa battaglia, di cui andiamo fieri. Ora continuiamo il nostro impegno su altri fronti. Non abbiamo i mezzi economici per risanare chiese in degrado, ma avanziamo proposte, promuoviamo sulla stampa campagne di sensibilizzazione, denunciamo alle autorità competenti abusi ed emergenze».

L'ultima denuncia di Italia Nostra riguarda una situazione che sembra uscita da una commedia di Eduardo De Filippo: la chiesa "balneare". Incredibile ma vero: il tetto di S. Biagio ai Taffettanari, luogo di culto regolarmente officiato, è stato trasformato per mesi in un mini stabilimento, con tanto di piscina gonfiabile, bagnanti che prendono il sole, cani che scodinzolano, bambini che giocano a palla. Poi qualcuno si è mosso e la chiesa è stata finalmente transennata. Appuntamento alla prossima stagione...

 

 

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