Giovanni Florio per Lettera 43
LeninHa definito Lenin «espressione e guida geniale del movimento rivoluzionario». A farlo è stato il capo dello Stato Giorgio Napolitano, 40 anni fa esatti. Il documento è citato nel libro Scacco allo zar (edizioni Mondadori) di Gennaro Sangiuliano ed è contenuto in una miscellanea di scritti comunisti pubblicata da Editori Riuniti nel 1972.
Tra gli autori c'è l'attuale presidente della Repubblica, allora fervente comunista e ammiratore del dittatore Lenin, di cui - raccomandava - è importante seguire sempre le indicazioni. Nel 2007 il settimanale comunista Rinascita ha ripubblicato un vecchio scritto di Napolitano uscito nel 1970 tra i Quaderni di critica marxista col titolo "Lenin teorico e dirigente rivoluzionario".
GENNARO SANGIULIANO E SIGNORAPASSATO FILO SOVIETICO.
In quel testo, l'attuale presidente e garante della democrazia sottolineava l'importanza della «prima, decisiva scelta che venne compiuta dall'ala più avanzata del movimento operaio italiano sotto la guida di Lenin e dell'Internazionale comunista: la scelta della rottura con l'opportunismo, con i riformisti e la fondazione del Partito comunista d'Italia». Ricordare il passato filo sovietico di Napolitano oggi è vietato, come lesa maestà, poiché per l'ex dirigente del Partito comunista (Pci), molto più che per Mario Monti, è previsto e accettato solo il registro giornalistico della riverenza.
L'APPOGGIO ALL'URSS E IL TARDIVO «TORMENTO AUTOCRITICO»
Ma le cose scritte restano e non fa male rileggerle. Riprendere per esempio quanto scrisse Napolitano sull'Unità nel febbraio del 1964, subito dopo l'espulsione dall'Urss dello scrittore dissidente Aleksandr Solženicyn: «Che la sua 'incompatibilità' sia stata sciolta dalle autorità sovietiche non con un'incriminazione ma con la sua espulsione può essere considerato più o meno 'positivo'; qualcuno può giudicarla obiettivamente, come l'ha giudicata, la 'soluzione migliore'; ma solo commentatori faziosi e sciocchi possono prescindere dal punto di rottura cui Solženicyn aveva portato la situazione e possono evocare lo spettro dello stalinismo». Ecco, l'esilio forzato dell'autore di Arcipelago Gulag era la 'soluzione migliore' per il migliorista Napolitano, e guai a parlare di stalinismo: avevano fatto bene i compagni sovietici.
L'APPOGGIO ALL'INTERVENTO.
Anche nel 1956, quando i carri armati russi avevano invaso Budapest in rivolta, Napolitano prese le parti di madre Urss: «L'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente ha contribuito in misura decisiva, oltre che a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo».
Più tardi, molto più tardi (troppo più tardi) Napolitano scriverà nella sua autobiografia del suo «grave tormento autocritico» riguardo alla posizione assunta nel 1956. Dirà: «La mia storia non è rimasta eguale al punto di partenza, ma è passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni». Sempre con qualche decennio di ritardo, però.