1. L’ITALIA TORNA IN GUERRA
Vittorio Feltri per “il Giornale”
Conviene ricordare che nel 2011, quattro anni orsono (non 100), mezzo mondo dichiarò guerra alla Libia, dando la stura alle violenze tuttora in corso in quel Paese. Il primo a menare le mani fu Nicolas Sarkozy per motivi inconfessati ma palesi: la Francia era golosa del petrolio che Gheddafi vendeva a buon prezzo all'Eni. Il dittatore aveva ottimi rapporti con l'Italia ed era addirittura amico di Silvio Berlusconi.
I due si scambiavano favori e inviti pacchiani, il che favoriva la nostra economia, ma infastidiva gli antiberlusconiani. I quali, con la manifesta complicità dei soliti media, si scagliavano contro il governo di centrodestra un giorno sì e l'altro pure, sostenendo che il premier e il despota erano simili, affetti dagli stessi vizi, entrambi inaffidabili e privi di senso della democrazia. Opinioni.
Discutibili, ma legittime.
Quando il capo di Stato francese fece decollare una flotta aerea con l'ordine di bombardare la Libia, avviando un conflitto sciagurato, la cosiddetta comunità internazionale si mobilitò a propria volta per abbattere il regime del rais, sollecitando l'Italia a fare altrettanto.
Il Cavaliere nicchiava. Era imbarazzato. Considerava inopportuno pugnalare alla schiena l'amico aggredito. Al contrario, Giorgio Napolitano, il Pd e l'opposizione brigarono affinché scendessimo in guerra con gli alleati. Ebbero partita vinta anche perché Stati Uniti e Inghilterra praticamente obbligarono Berlusconi a cambiare linea. In quel periodo di tensione, l'Occidente predicava la necessità di agevolare la primavera araba che, secondo la vulgata progressista, avrebbe garantito un futuro radioso ai popoli ancora sotto il tallone di despoti sanguinari. Storie.
berlusconi e frattini su gheddafi con che cor L sFAZGA
Si è poi constatato com'è andata a finire. All'epoca fummo tra i pochi a gridare che la cacciata del colonnello sarebbe stata una soluzione catastrofica: in effetti chi pretendeva di sostituirlo si è rivelato peggiore di lui. Nessuno ci prese sul serio. Napolitano e la sinistra non sentirono ragione, agirono di testa loro e aprirono la strada alle bande di estremisti che hanno ridotto la Libia a una macelleria, il luogo più idoneo alle prodezze dell'Isis.
E adesso? Siamo nell'angolo, timorosi di essere attaccati, dato che ci troviamo a un tiro di schioppo dalla zona infestata dagli uomini del califfato. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha affermato di essere pronto a combattere. Come? Inviando 5.000 soldati nella nostra ex colonia. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è scattata sull'attenti e ha detto: obbedisco. Ci stiamo infilando per disperazione in un tunnel di guai da cui non immaginiamo come usciremo, se ne usciremo.
Il tutto causato da un vecchio signore comunista che, in odio a Gheddafi e a Berlusconi, si inginocchiò ai potenti della terra, senza nemmeno avvertirli che premendo il grilletto saremmo andati incontro allo sfacelo.
Sarkozy, dopo aver giocato ai soldatini, non conta più niente; e di petrolio ne ha succhiato poco. Obama è sul punto di fare le valigie. Gli inglesi tacciono. Federica Mogherini, responsabile esteri della Ue, che sembrava un fenomeno, non parla e forse è un bene. Quanto all'Europa, se c'è batta un colpo. Ma non c'illudiamo che possa muovere un dito perché è notoriamente paralizzata nella propria nullità; rimane indifferente all'immigrazione che ci affligge, lasciandoci da soli a (non) controllarla; e se ne impipa della Grecia in coma, figuriamoci se si preoccupa dei missili di Maometto che minacciano la penisola. Noi ci affidiamo a Gentiloni e alla Pinotti, i gendarmi di Matteo Renzi. Se non rischiassimo la pelle, ci verrebbe da ridere.
2. MEGLIO LUI DELL’ANARCHIA - QUELLA NOSTALGIA DI GHEDDAFI
Antonio Carioti per il “Corriere della Sera”
La caduta di Muammar Gheddafi ha portato indietro la Libia di due secoli, con la «tribalizzazione del territorio», mentre il regime del Colonnello aveva «dato ai libici una fierezza che non avevano mai conosciuto». A dichiararlo sono Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, e il padre comboniano Alex Zanotelli in un appello di pochi giorni fa.
Ma a provare una certa nostalgia per Gheddafi sembra essere anche Romano Prodi, nonostante le ottime relazioni che il dittatore libico intratteneva con Silvio Berlusconi. Intervistato dal Fatto Quotidiano , l’ex leader dell’Ulivo ha dichiarato che nel 2011, quando il Colonnello fu abbattuto, «non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto», con il Paese nordafricano «nell’anarchia e nel caos più assoluti». Una catastrofe che, per Prodi, nasce da «un errore nostro», dell’Occidente. E se la Francia porta la maggiore responsabilità, per aver voluto a tutti i costi l’intervento militare, l’Italia «ha addirittura pagato per fare una guerra contro i propri interessi».
Molti politici la pensano così. Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri, di Forza Italia, ricordano le perplessità di Berlusconi sulla guerra. Per Fabrizio Cicchitto (Ncd) l’eliminazione del Colonnello fu «dissennata». Giorgia Meloni, leader di Fdi, parla di «disastro». «Meglio il beduino Gheddafi del califfo tagliagole» è il colorito commento di Gianluca Buonanno della Lega.
«Non è una questione di nostalgia, ma di realismo politico» dice al Corriere Valentino Parlato, nato in Libia nel 1931, che è stato tra i fondatori del manifesto . «Gheddafi — continua — era una barriera importante contro i jihadisti. E la Libia era un Paese tranquillo, dove si viaggiava senza pericoli. Inoltre a Tripoli non si vedeva un mendicante: il governo, per quanto dittatoriale, usava parte della rendita petrolifera a favore della popolazione».
Le ragazze erano struprate da Gheddafi dai figli e dagli ufficili
«Ai tempi di Gheddafi il reddito pro capite libico era il più alto dell’Africa, molti servizi pubblici erano gratuiti e i beni di prima necessità erano venduti a prezzi politici», conferma al Corriere Del Boca, che per Laterza ha appena terminato la riedizione della biografia di Gheddafi. A suo avviso, «chi prova nostalgia sono soprattutto i libici, visto che seicentomila sono fuggiti in Tunisia e un milione in Egitto».
Apertamente «nostalgico di Gheddafi» si proclama lo storico Nico Perrone, biografo del fondatore dell’Eni Enrico Mattei: «Il suo regime garantiva nella regione un equilibrio che non sarà stato ideale, ma era il migliore possibile. La sua caduta è stata deleteria tanto per i libici quanto per gli interessi nazionali italiani».
Gheddafi selezionava le sue vittime a scuola
Inoltre, secondo Del Boca, la rivolta contro il Colonnello non è stata spontanea: «I moti insurrezionali sono stati sobillati dalla Francia di Nicolas Sarkozy per mettere le mani sulle risorse naturali della Libia. Ma credo che anche l’impegno di Gheddafi per l’unità africana, volto a coalizzare gli Stati del continente per limitare l’influenza straniera, abbia contribuito a mettergli contro Parigi.
Il Colonnello era un tiranno, usava il terrore, ma aveva un’indubbia statura politica. Non a caso era riuscito a tenere insieme per 42 anni un Paese composto di innumerevoli tribù, molto diverse tra loro, che ora si sono scatenate l’una contro l’altra. Abbatterlo ha aperto le porte al fanatismo islamico. E mi viene paura sentendo con quanta leggerezza oggi i nostri governanti parlano di un intervento militare in quel vespaio. In che mani siamo?».
Alcune soldatesse lo aiutavano negli abusi altre sono state abusate
Però il Colonnello era stato un elemento destabilizzante, aveva sovvenzionato il terrorismo. «Da tempo — replica Parlato — Gheddafi si era allineato all’ordine dominante. Per questo era onoratissimo non solo in Italia, ma anche in Francia. Si diceva persino che avesse finanziato la campagna elettorale di Sarkozy».
Perrone rincara la dose: «Con quanti despoti e fomentatori del terrorismo abbiamo ottimi rapporti? E l’uccisione di Gheddafi non è stata forse un’orrenda macelleria?».
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