OCCUPY HONG KONG - LA PRIMA VERA PROTESTA CONTRO IL REGIME CINESE DAI TEMPI DI TIENANMEN ARRIVA DALL’EX COLONIA BRITANNICA: GLI STUDENTI MANIFESTANO E LE AUTORITÀ RISPONDONO CON CARICHE, LACRIMOGENI E ARRESTI
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1. HONG KONG: PECHINO CONDANNA "MANIFESTAZIONI ILLEGALI"
(ANSA) - Il governo cinese e' "fermamente contrario ai movimenti illegali" lanciati dagli studenti e dai gruppi democratici di Hong Kong. Lo ha affermato oggi un portavoce a Pechino in un comunicato. Si ribadisce anche il "pieno sostegno" di Pechino al governo del territorio, che dal 1997 e' una Speciale Regione Amministrativa della Cina.
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La polizia di Hong Kong e' intervenuta con lanci di lacrimogeni e facendo uso di spray al pepe per disperdere i dimostranti che manifestano per un pieno regime democratico. Lo riferiscono testimoni. Alcuni messaggi su twitter parlando anche di "proiettili di gomma", mentre altri sostengono che gli agenti stanno facendo uso dei manganelli.
2. HONG KONG: MANIFESTANTI, POLIZIA CERCA DI BLOCCARE INTERNET
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(ANSA) - La polizia di Hong Kong sta cercando di bloccare Internet nella zona di Admiralty, dove sono concentrati i manifestanti pro-democrazia. Lo affermano gli stessi manifestanti su Twitter. Altri sostengono che le vetture della metropolitana hanno cominciato a non fermarsi all'omonima stazione. Admiralty è il quartiere di Hong Kong nel quale si trovano gli uffici del governo locale e la sede del Legislative Council, il Parlamento del territorio. Le foto diffuse indicano che migliaia di persone sono ancora nelle strade.
3. CARICHE IN PIAZZA E STUDENTI ARRESTATI SU HONG KONG INCUBO TIENANMEN
Giampaolo Visetti per “la Repubblica”
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Come in piazza Tienanmen, un quarto di secolo dopo, Pechino torna a picchiare e ad arrestare gli studenti democratici per difendere l’autoritarismo del partito comunista. Il fronte tra libertà e oppressione, dalla capitale, si è spostato ad Hong Kong, l’ex colonia britannica che la Cina, in meno di vent’anni, ha trasformato nella sua cassaforte finanziaria del Sud.
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Gli scontri sono esplosi alle prime luci del giorno, dopo che venerdì notte una cinquantina di adolescenti sono riusciti a penetrare nella sede del governo metropolitano, occupando parte del palazzo davanti a “Civic Square”, nel quartiere degli affari di Admirality. Esercito e polizia hanno caricato i manifestanti disarmati, facendo irruzione nell’edificio presidiato da giorni. Il bilancio ufficiale parla di 74 arresti e decine di feriti.
A turbare le cancellerie di tutto il mondo, l’identità degli insorti finiti in carcere, o in ospedale: tutti liceali, studenti universitari e ricercatori, tra i 16 e i 35 anni. Tra loro anche Joshua Wong, 17 anni, il teenager divenuto leader del movimento “Scholarism”. Nemico numero uno di Pechino, da mesi si batte per difendere la democrazia nell’ex Victoria inglese e da lunedì è riuscito a convincere 13 mila studenti a scioperare.
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L’arresto di Wong, sorridente in felpa e jeans, è stato mostrato della tivù e migliaia di persone sono scese in strada, circondando i grattacieli tra Kowloon e Central e minacciando gli agenti che portavano via i ragazzi. «Non ci importa di essere arrestati, né di rimanere feriti — ha detto il liceale Wong Kai-keung — perché vogliamo lottare per conquistare una vera democrazia ».
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Al fianco dei giovani, dopo le immagini della repressione filo-Pechino, si sono schierati anche adulti e vecchi e per impedire nuove cariche si sono mosse centinaia di famiglie con i bambini in braccio. Il “chief executive” Leung Chun-ying, fedelissimo dei leader cinesi, si è rifiutato di ricevere una delegazione dei manifestanti, di motivare gli arresti e di rivelare se qualcuno tra i fermati è stato liberato su cauzione.
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La tensione continua così a salire e l’ex “cortina di bambù” rischia di trasformarsi nella nuova frontiera armata dello scontro tra la dittatura del capital-comunismo cinese e la democrazia del consumismo finanziario occidentale. A tarda sera, mentre nel resto della Cina la censura bloccava ogni notizia, per le vie sotto il Peak si sono mossi anche migliaia di attivisti del movimento Occupy Central, pure in lotta per impedire il lento abbraccio della dittatura di Stato attorno alla metropoli-azienda più privata del pianeta.
In luglio, armati di fiaccole, si erano mobilitati in 500 mila e nei giorni scorsi avevano minacciato di paralizzare i distretti business dai primi di ottobre. Solidali con gli studenti arrestati, a decine di migliaia sono ormai già schierati: diplomatici stranieri e investitori temono ora la reazione di Pechino, decisa con ogni mezzo a non perdere il controllo della “regione speciale” da cui dipende il futuro anche della “ribelle” Taiwan.
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«La novità più preoccupante — ha detto Tai Yiu-ting, leader di Occupy Central — non è che la Cina esige di comandare anche con la forza, ma che pretende di convincere Hong Kong e l’Occidente che sta rinunciando a farlo». Una bomba ad orologeria. Dopo 150 anni sotto Londra, la città è stata restituita a Pechino nel 1997, con la formula «uno Stato due sistemi», cardine della “Basic Law”.
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Tra gli impegni, le prime elezioni a suffragio universale nel 2007, poi rinviate al 2017. Ai primi di settembre, dopo mesi di tensioni, la Cina ha però comunicato la sua interpretazione del voto democratico: massimo tre candidati, selezionati dal Politburo. «Una preselezione farsa — dice la leader del partito democratico, Emily Lau — che consegna la scelta al presidente Xi Jinping».
L’incubo, per la maggioranza, è che oltre al diritto ad un voto libero Pechino confischi presto anche libertà d’espressione, di stampa e di mercato, imponga «lezioni di comunismo» nelle scuole, facendo della metropoli il primo simbolo democratico della storia riassorbito da una dittatura.
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La Cina teme per stabilità interna e fuga dei capitali. Hong Kong non vuole diventare l’Ucraina dell’Asia. «Il prezzo per difendere i diritti universali con cui siamo cresciuti — ha detto Joshua Wong subito prima dell’arresto — sarà alto e sappiamo di doverlo pagare. Ma solo la mobilitazione del mondo può evitare che l’isola diventi, nel Duemila, un’altra Tienanmen».
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