Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
beppe grillo a piazza del popolo 6
Inedito, contorto e sciaguratissimo caso di eterogenesi dei fini quello dei cinquestelle che arrivati a Roma per «aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno», come da indimenticabile foto, non solo si sono poi effettivamente versati addosso l’olio, gli uni contro gli altri, ma nel frattempo hanno pure lasciato andare a male il tonno, in tal modo contribuendo al generale disastro delle istituzioni parlamentari.
Sono 37, circa il 20 per cento, gli «sgrillati », deputati e senatori che in varie forme e per varie ragioni hanno mollato o sono stati cacciati dal M5S. Ma il censimento è arduo perché sempre qualcuno è sul punto di andarsene e qualcun altro spesso ci ripensa. I giornalisti addetti hanno imparato a conoscere le tortuose dinamiche dei loro polli fin dal primo giorno, quando la senatrice brianzola Mangili, sposata a uno storico attivista di Cesano Maderno che di nome si chiama «Mio», inaugurò la XVII legislatura presentando le dimissioni. Però ancora sta lì, nel gruppo degli ortodossi.
Ma quando si dice che le fuoriuscite dei dissidenti, dei rivoltosi, dei traditori e degli eretici, sia in Parlamento che a livello locale, «non si contano più», oltre che un modo di dire è una specie di difesa psicopolitica. Perché sono storie troppo diluite e in genere poco appassionanti; così restano in mente solo quelle che recano qualche suggestione, anche se poi paiono tutte intrecciarsi e mestamente assomigliarsi. Quello cacciato per un fuorionda, quella per il «punto G» (la voglia di non meglio identificato talk-show), quell’altro per un più specifico desiderio di confrontarsi con Barbara D’Urso.
Ma Beppe non voleva, perciò via! A volte basta un post da Sant’Ilario (Genova), a volte si segnala una noterella della Casaleggio Associati, a volte ci vuole l’assemblea (a volte in streaming, a volte lo streaming è retrattile o intermittente, a volte non si fa proprio. A volte è chiamata a decidere la Rete, in versione Sant’Uffizio. A volte gli ex si riuniscono in gruppi, recuperando antiche e spropositate suggestioni partigiane (Gap) o tatarelliane («Democrazia in movimento»)
In linea di massima c’entrano i soldi. Mai tanti, per la verità. Grillini e sgrillati sono mediamente più onesti e meno smaliziati dei parlamentari dei vecchi e nuovi partiti, ma siccome vivono nel vano timore di contaminarsi il loro contenzioso appare miserrimo, alimentato com’è da irrealistici codici interni, agognate diarie, mancate rendicontazioni, conteggio di scontrini, sospetti di creste, assunzione di parenti; oltre a una spiccata litigiosità che trae slancio da impicci fra il tecnologico, per così dire, e il comunicativo: proliferazione di sms, video, troll, piattaforme e portali, fino al presentito hackeraggio o atmosfere tipo Grande Fratello.
Che tutto questo si traduca in sconfessioni e scomuniche tipiche delle sette — l’autista di Grillo in un giorno di malumore ha definito gli infedeli «un cancro da estirpare» — è già piuttosto sconsolante. Ma l’idea che alla vigilia del Quirinale tanti eletti del M5S stiano per tramutarsi negli ascari di questo o quel progetto, più che a un incredibile spreco di tempo, di speranze e di energie fa pensare un vero e proprio impulso autodistruttivo.
Lacrime, coach, psicopolizia, cerchi magici, sodalizi vegani, epurazioni e istanze di secondo grado. Vero è che anche lì ci sono tipi un po’ strani. Ieri, per dire, con qualche malintesa semplificazione l’onorevole Bernini ha illustrato una frase di Isac Singer — «Ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali» — postando su qualche social le immagini dei cadaveri di Auschwitz a fianco di quelle delle carcasse di un allevamento di maiali.
i grillini portano le arance al comune di roma 4
Ma certo, anche dinanzi a questa e ad altre bizzarrie, viene il dubbio che passare dalla democrazia diretta a quella eterodiretta comporti guai tanto più seri quanto meno riconoscibili per chi comanda da lontano. Un pallido e superfluo buonumore impone di concludere con la zoppicante, ma inesorabile composizione poetica romanesca che la senatrice Tavella, magari addirittura per fare la spiritosa, ha dedicato a chi non è d’accordo: «Che meraviglia, sei diventato senatore/ e mo’ te senti er più gran signore,/ rilasci interviste e fai er politico sapiente,/ pe’ me e pe’ troppi ancora sei poco più de gnente... «. Così si conclude: «Ma quanti sete? Cinque, sette, venti?/ Perché non ve n’annate felici e contenti?».
Ecco, sono già 37. Ma la felicità appare per tutti una ipotesi remota. L’olio della scatoletta fa scivolare e l’odore del tonno guasto non promette niente di buono.