Winston Churchill per www.lettera43.it
scalfari guarda ciampi che abbraccia draghi
Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli. Ne parlo a ragion veduta, sia come figlio di Lord Randolph Henry Spencer Churchill, morto nel gennaio 1895 a soli 46 anni dopo essere stato un politico molto influente nell’Inghilterra vittoriana, sia come padre di cinque figli – avuti dalla mia amata Clementine Hozier – due dei quali sono volati cielo prima di me (Marigold Frances morta a soli 3 anni per setticemia, e Diane, suicida con un’overdose di barbiturici nel 1963, due anni prima che mancassi io) mentre gli altri tre (Randolph, Sarah e Mary) mi hanno seppellito dopo avermi riempito di nipoti.
L'ACCUSA A MORGAN STANLEY.
mario draghi carlo azeglio ciampi
Ma quello di cui voglio parlarvi oggi non è la storia della blasonata famiglia Churchill, bensì la triste storia dei derivati della finanza pubblica made in Italy. Una storia che ora finisce alla Corte dei Conti che, non avendo niente di meglio da fare, accusa l’americana Morgan Stanley e i benemeriti funzionari del Tesoro italiano – magari li avessero i nostri cancellieri dello Scacchiere – di danno erariale per 3,9 miliardi, di cui 2,7 miliardi a carico della banca d’affari e 1,2 miliardi complessivi per quattro dirigenti del Mef (due ex direttori generali, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, l’attuale loro successore Vincenzo La Via, e Maria Cannata, che per 17 anni ha diretto il pool che gestisce il debito pubblico nazionale).
I RISCHI PER IL PAESE.
Tutto questo con gravi conseguenze per quella maledetta montagna di debiti che gravano sulle spalle degli italiani, mi racconta un grande italiano che avrei voluto conoscere in vita, Carlo Azeglio Ciampi. Secondo lui c’è il rischio che alcune banche decidano seriamente di ripensare il loro coinvolgimento come specialisti in titoli di Stato. E ne parla a ragion veduta, visto che in qualche modo è il padre dell’uso dei derivati come forma di assicurazione contro il rischio tassi nella gestione del vostro debito pubblico.
E già, perché le regole dei derivati hanno origini antiche. Era il 1996 e l’Italia, senza questi strumenti finanziari, rischiava di restare fuori dall’Unione monetaria. Così, il 22 gennaio 1997, Ciampi firmò il decreto ministeriale che li definiva nei dettagli; comprese le clausole che prevedevano (sia per le banche specialist sia per lo Stato) l’uscita dal contratto. Tra l’altro, il direttore generale del Tesoro dell’epoca (cioè, chi scrisse materialmente quel provvedimento) era Mario Draghi (che quei falsi coraggiosi della Corte dei Conti si sono dimenticati di perseguire, pur essendo ancora in vita, al contrario di Ciampi).
Nel 2001, Draghi avvertì il bisogno di scendere nei dettagli dei derivati. E fece riferimento alla possibilità di utilizzare la swaption per allungare le scadenze del debito pubblico. Proprio le pratiche che la Corte dei Conti ritiene «illegittime», e per le quali chiama a giudizio tutti i direttori generali del Tesoro che sono seguiti a Draghi e il direttore del debito di questi anni. Tutti fuorché colui che ha ideato le operazioni.
d alema premier ciampi ministro del tesoro mario draghi direttore generale
LE PASSATE ARCHIVIAZIONI.
Al di là della circostanza che la gestione del debito pubblico venga definita dalla legge «insindacabile», la Corte dei Conti tratta come “incapaci” i dirigenti del Tesoro. Eppure, costoro hanno gestito il terzo debito pubblico del mondo, senza avere alle spalle la terza economia del mondo. E benché negli anni il debito sia continuato ad aumentare, la spesa per interessi rimasta pressoché stabile dimostra come la gestione del debito sia stata alquanto azzeccata. Ciampi me ne parla con le lacrime agli occhi, e a me non rimane che offrirgli un bicchiere del mio malto, mentre rifiuta uno dei miei avana (e me ne dolgo).
Ora tutto questo rischia di saltare, mi dice con il groppo alla gola il toscanaccio ormai mio amico. Mi dice: «Winston, pensaci, se gli specialisti vedranno sanzionata Morgan Stanley è assai probabile che rivedano la propria strategia nei confronti dei titoli emessi dalla Repubblica italiana». Allo stesso modo se quella gran donna della Cannata sarà condannata, i funzionari di via XX Settembre saranno indotti alla deresponsabilizzazione. Tutti, banche e dirigenti, diranno un bel “chi ce lo fa fare”, e la mia amata Italia andrà a farsi benedire. Ed è per queste ragioni che il Tribunale di Roma, quello di Trani e il Tribunale dei ministri hanno già archiviato senza indugi procedimenti analoghi.
derivati tra tesoro italiano e morgan stanley
L'ALLARME DEFAULT.
Chiedo a Carlo Azeglio se si ricorda come siano andate le cose. Mi racconta come un fiume in piena. Nel 2005, Morgan Stanley chiese al governo italiano di agganciare ai derivati altri contratti collaterali, a garanzia. Il Tesoro respinse la richiesta: all’epoca il debito italiano era risk free, e mostrando di non avere alcuna sudditanza nei confronti della banca d’affari, via XX Settembre fece la cosa giusta.
Nel 2011, però, le cose cambiarono. Non tanto per lo spread schizzato alle stelle, quanto per l’analogo andamento dei credit default swap. E a far volare questa forma speculativa erano le voci di un default dell’Italia. Voci che trovavano conferma persino nelle parole di Giorgio Napolitano e di Mario Monti. Entrambi dissero che l’Italia era in condizioni di pre-default.
derivati tra tesoro italiano e morgan stanley
Di fronte a tali considerazioni dei massimi livelli istituzionali, Morgan Stanley non applicò le clausole a sua disposizione che l’avrebbero autorizzata a uscire dal derivato, ma avviò un negoziato con il Tesoro. Tant’è che alla fine fu il ministero dell’Economia a decidere di chiudere il contratto. I tecnici si fecero due conti. Se il derivato fosse arrivato alla scadenza naturale, l’esborso per le casse dello Stato sarebbe stato di 5,9 miliardi. Con la rinegoziazione avrebbe versato alla banca 3,109 miliardi. Con un minor costo effettivo per lo Stato italiano di quasi 3 miliardi.
UNA SORTA DI POLIZZA ASSICURATIVA.
Superando la mia naturale ritrosia ad ammettere di non conoscere qualcosa, mi violento e chiedo a Carlo Azeglio di spiegarmi come funzionano questi benedetti derivati. Mi spiega con pazienza certosina che sono contratti equiparabili a una polizza assicurativa, nella fattispecie legata all’andamento dei tassi d’interesse. Se questi superano un determinato livello (stabilito nel contratto) è la banca a pagare. Se invece scendono, paga lo Stato. E quando il derivato è stato rinegoziato i tassi erano in discesa.
Eppure, per la Corte dei Conti gli uomini e le donne dell’Economia sono un branco di incapaci. Sostiene che gli uomini di Morgan Stanley spadroneggiavano al ministero e svolgevano un ruolo di consulenti. Peccato che agli specialisti delle banche sia proibito dalle misure interne del Mef di fare i consulenti. Sono 20 le banche che operano per il Tesoro, e ognuna può informare il Tesoro solo nella parte relative alle proprie operazioni. E all’epoca quelle di Morgan Stanley riguardavano lo 0,42% del debito pubblico.
CHI PAGHERÀ IL DANNO ERARIALE?
Insomma, quella che andrà in scena alla Corte dei Conti è una storiaccia di visibilità della magistratura amministrativa, condita di omissioni. E così uno strumento, nato per gestire al meglio il debito pubblico, rischia di diventare un boomerang proprio per il debito stesso. Se le banche specialiste dovessero osservare quel che avviene a Morgan Stanley potrebbero decidere l’uscita. E a quel punto, chi chiederà il danno erariale alla Corte dei Conti?
VINCENZO LA VIA DOMENICO SINISCALCO VINCENZO LA VIA PIER CARLO PADOAN maria cannata