I “PENTITI” DEL CALIFFATO - L’EX JIHADISTA TUNISINO ABU HAMZA ETTOUNSI RACCONTA L’ORRORE ISIS: “HO VISTO BRUCIARE VIVI 128 UOMINI, MUSULMANI COME ME”
Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”
«Beve». Con tutto quel che Abu Hamza Ettounsi ha combinato in Siria, gli sgozzati e il resto, adesso quel che scandalizza di più è che s’ubriachi. Una volta era un eroe della Jihad. Combattente volontario dello Stato islamico. Era partito che ci credeva. E i suoi amici salafiti credevano sarebbe diventato un martire, l’onore di Biserta. Una sera di metà gennaio, Abu Hamza è ricomparso. Sulla tv tunisina. Aveva la faccia oscurata, ma l’hanno riconosciuto lo stesso.
«Pagato», dicono con disprezzo: a raccontare che la guerra santa non è come la raccontano, che lui non ce l’ha fatta più ed è tornato. Un reduce alcolizzato. La famiglia teme le vendette e non vuole saperne, la polizia gli ha proibito altre interviste: «Questa gente va dimenticata…». Abu Hamza non ha più voglia di parlare: «Ho visto bruciare vivi 128 uomini — ha ricordato —. Musulmani come me. Non ho capito perché dovessero morire. Li sogno tutte le notti. E l’unico modo per non pensarci è bere».
C’è vita dopo l’Isis? Il paradiso può attendere e qualcuno in effetti ci ha ripensato: chi ha avuto paura, chi è stanco, chi ha disertato proprio; chi aspetta ai confini e vuole ripartire per un altro fronte; chi è stato espulso, come le cinque «cellule dormienti» che l’Italia ha rispedito qui in gennaio.
isis con i prigionieri peshmerga soldati curdi 7
Ufficialmente, non esistono: la legge tunisina condanna chi ha scelto il Jihad e ne vieta il ritorno a casa. In realtà, si sa che la legge non è mai uguale per tutti, che l’Algeria per esempio sta pensando a una specie d’immunità per chi si pente subito, che il confine con la Libia è poroso e che in fondo dove può passare una capra può passare un uomo, come diceva il generale Giap, e dove può passare un uomo può passare un battaglione: i reduci del martirio sono 568, sostiene il governo, la maggior parte sui confini, qualcuno in prigione o nascosto fra Biserta e Kairouan. Comunque tornati dall’inferno. «Esiste il problema dei rientri», ammette l’ex ministro dell’Interno, Lotfi Ben Jedou: «Stanno attenti a girare per le nostre strade, ma possono navigare sul web. Li consideriamo una minaccia».
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O una piaga: la Tunisia è il più grande esportatore mondiale di jihadisti, in rapporto alla popolazione batte anche il Sudan. Miracolosamente scampata al destino violento delle altre primavere arabe, ha mantenuto la sua stabilità facendo da vivaio a migliaia di volontari. Tremila dal 2011, dichiara il governo. Cifra inattendibile, calcola l’avvocato Hazem Ksouri che assiste molte famiglie di jihadisti, più distrutte che inorgoglite: «Duemila sono quelli già morti, poi ci sono i 6mila che il governo ha bloccato prima che espatriassero… Probabilmente, i nostri connazionali fra Siria, Iraq, Sinai, Libia e Mali sono almeno diecimila».
Abu Ibrahim detto il Tunisino è il kamikaze che s’è fatto saltare a Tripoli nell’attacco dell’hotel Corinthia: nessuno sapeva fosse partito. Mohamed Amin Smaui s’è diplomato qui in Belle arti ed è volato a Kobane con la moglie: entrambi morti. Nidhal Selmi era un buon mediano dell’Ess di Sousse: l’Isis è la sua nuova squadra.
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«Una mattina ti svegli e scopri che i tuoi figli se ne sono andati, senza una parola», dice Abderraham Hedhili, papà di due adolescenti di 16 e 14 anni, segretario della Lega per i diritti dell’uomo che s’è occupato di decine di casi simili, finché non è toccato a lui. Hedhili è stato a Damasco, sperando di ritrovare i ragazzi in qualche cella di Assad: per ora, niente. E Saliha Madini? Dal suo Mohammed ha ricevuto solo una lettera che tiene stropicciata in borsa: «Madre tenera, io sto bene e spero anche tu come mio papà, mio fratello e sua moglie. Il buon Dio mi farà uscire da questo posto, che mille occhi non soffrano più quando tornerò…».
Il figlio di Saliha è da due anni nel carcere di Bagdad, l’hanno preso mentre scavalcava la frontiera turca, cuore di mamma sostiene che andava in Iraq solo per cercare lavoro ed «è finito con le amicizie sbagliate». Lei piange, non ha pace: «E’ colpa mia. Io facevo la cameriera in un hotel di Tunisi, ogni settimana veniva un salafita a insegnare il Corano e un giorno gli ho chiesto se poteva insegnare qualcosa anche al mio bambino: non immaginavo gli avrebbe riempito la testa di cose sbagliate».
Con le cose sbagliate, vorrebbero chiudere tanti. Pentiti fuori tempo massimo: «All’inizio, l’Isis mi ha fatto stare nelle sue guest house con internet, la tv, tutti i comfort — ha spiegato ai giudici Mohamed Saadouni, un marocchino —. Poi ho capito che non ero lì per combattere Assad: il mio nemico era l’Esercito di liberazione siriano. Avevo lasciato soli i miei figli per uccidere altri arabi! L’errore più grande della mia vita».
isis abbatte un aereo siriano e prende ostaggio il pilota giordano 4
La sua situazione è uguale a quella di almeno 200 tunisini detenuti in Siria: Assad li giustizierebbe, il nuovo governo di Nidaa Tounis sta pensando di riaprire l’ambasciata a Damasco per seguire da vicino i casi recuperabili. Si sta ragionando anche su centri di Jihad Rehab, disintossicazione dal fanatismo sul modello di quelli già aperti in Arabia Saudita: «Sono cose che costano — è contrario l’avvocato Ksouri —, in Tunisia c’è disoccupazione e la gente non capirebbe quei soldi sprecati. Senza dire che in Libia ci sono trenta lavoratori tunisini ostaggio d’Ansar al Sharia e dell’Isis. Serve più sicurezza, invece: qui ci sono ancora posti dove la polizia prende le impronte con l’inchiostro!...».
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A 60 km da Tunisi, nel vecchio porto di Biserta, i gendarmi fino a qualche mese fa non s’avventuravano nemmeno: le ronde le facevano i cinquecento salafiti di Abdul Salam Sharif, spilungone identico a Bin Laden, un reduce d’Afghanistan che dal suo chiosco di vestiti mandava a punire le donne mal velate, gli spacciatori, chi beveva. Reclutava, anche. C’è voluto un reportage della Bbc , che ha scioccato i laici di Tunisi, a fargli chiudere baracca e cambiare aria. La polizia gli ha dato il foglio di via, i suoi fedelissimi sono ancora qui. «E’ scappato in Algeria. Ma sappiamo che tornerà. E lui non è pentito di niente».