DAGOREPORT
Altro che tramontana. Oltretevere tira già aria di preconclave. Date retta agli scafati interpreti che nei sacri palazzi, per giorni e giorni, si sono applicati a decrittare – parola per parola, sillaba per sillaba - l’intervista al Corsera del cardinale Camillo Ruini.
Rileggetevela, orsù. Proprio là, dove “Eminence” negava che i cardinali più tradizionalisti si siano recati alla corte di Ratzinger per pietire indicazioni utili a sabotare il sinodo di Francesco, Ruini ha confessato che qualcuno da Benedetto XVI ci è andato davvero: proprio lui. A settembre. Giusto prima del sinodo.
Disattenzione di vegliardo? O prosopopea di chi è sempre alla regia di tutto, e ci tiene gagliardamente a farlo sapere al mondo? Mettetela come vi pare: avrà pure 83 anni suonati, ma il suo operato dietro le quinte è sempre il più intelligente (e il più pericoloso). Ormai tutti sanno che Bergoglio presto o tardi rinuncerà al soglio.
E in Vaticano c’è già chi punta sul bis in idem: come Francesco è stato bocciato nel 2005, ed eletto papa nel 2013, forse anche colui che è stato bocciato nel 2013 ha qualche speranza di diventare papa tra non molto. E parliamo del candidato che attualmente è considerato da Ruini il male minore, Angelo Scola, ex patriarca di Venezia, oggi arcivescovo di Milano. Sissignori.
Proprio quello Scola che il 12 settembre ha aperto la campagna elettorale presentando a Milano il libro di Massimo Franco su papa Francesco. E che con aria angelica, ogni volta che transita dalle parti di San Pietro, assicura a tutti di non sapere nulla dei pasticci veneziani del Mose. Vade retro!
E allora andiamoci pure, nelle retrovie.
Dove la situazione è la seguente.
Bergoglio piacerà pure alle folle, ragazzi, ma perde sempre più colpi nella gestione della curia. Ruini o non Ruini, lo si è visto bene all’ultimo sinodo: il papa non l’hanno seguito nemmeno i suoi più fedeli capi dicastero, in primis il cardinale australiano George Pell, quello che “i preti pedofili” sono come “i camionisti che molestano le autostoppiste”.
Quanto poi alla fabbrica dei vescovi: chi la tiene in pugno? Non certo Francesco, suvvia, ma il cardinale Marc Ouellet. Un fedelissimo dell’aspirante papa di cui sopra, cioè di Scola, con la sua corte di ciellini che finalmente vantano a Milano, grazie a lui, il loro primo vescovo, un ausiliare, nella persona del cappuccino Paolo Martinelli.
Sembra di tornare agli ultimi tempi del regno di Ratzinger.
Ormai nemmeno le cariche più esigue, nemmeno le pedine più piccole dello scacchiere vaticano vengono giocate senza secondi, e terzi, e quarti fini. Tanto che nei corridoi dei palazzi ormai tutti hanno imparato l’antifona: o sei amico personale del papa, oppure devi venire a patti con qualche cordata che conta, navigando accorto tra Scilla e Cariddi.
Ossia tra Angelo Becciu, il sostituto alla segreteria di Stato, un bertoniano tuttora di ferro, e Leonardo Sapienza, il reggente della casa pontificia nominato nel 2012 da Benedetto XVI. Sono loro, oggi, che nel Vaticano di Francesco decidono tutto di tutto. Ma proprio tutto. E tuttissimo.
Scordatevi un posto in prima fila alle udienze, o un incontro con Bergoglio a Santa Marta, se prima non avete incassato l’approvazione dell’uno o dell’altro. Tu l’ha’ capito, Matteuccio? La tua visita ufficiale in Vaticano, a incontrare finalmente papa Francesco – è tardi, è tardi, ma comunque: meglio tardi che mai – l’hai organizzata davvero per benino?
POST SCRIPTUM
A proposito di dimissioni. Prima Benedetto XVI. Poi le voci sulla rinuncia prossima di papa Francesco. Adesso lo spiffero: Matthew Festing, 70° gran maestro dello Smom, il sovrano ordine militare di Malta, sta per mollare l’osso. Dicono. Non è che a Oltretevere dimettersi sta diventando una moda?