PIAZZA PIENA, URNE VUOTE - I “SINISTRATI” PD SANNO CHE LA SCISSIONE E’ UN POTENZIALE SUICIDIO: LA “COSA ROSSA” NON HA MAI ECCITATO GLI ELETTORI - RENZI NON VEDE L’ORA DI SCARICARE I FASSINA BOYS PER CREARE UNA DC IN SALSA BLAIR
Salvatore Dama Roma per "Libero Quotidiano"
Scissione a sinistra del Pd? È più facile che un gettone entri nell’Iphone, per riprendere il paradosso utilizzato da Matteo Renzi alla Leopolda. I sondaggisti non ci credono. Dubitano che la frattura interna al Partito democratico possa poi sul serio sfociare nella nascita di un nuovo partito di sinistra.
«Prima la vedo e poi la commento», frena Nicola Piepoli amministratore delegato dell’Istituto Piepoli. L’area alla sinistra dei democratici è già affollata di liste e listarelle. Tutte in lotta per la sopravvivenza, pericolosamente oscillanti intorno alle soglie di sbarramento. «La piazza piena non deve fuorviare», sostiene Maurizio Pessato, presidente di Swg. Perché poi alle urne l’area più dura e sindacalizzata della sinistra fa spesso cilecca. Ultimamente è andata così.
Allora, calma: «Per il momento», frena Pessato, «la definirei una partita tutta interna al Pd» e non è affatto scontato che lo scontro intestino abbia come esito la scissione. Il vice segretario Lorenzo Guerini fa il pompiere: «Siamo un partito del 40% e quindi rappresentiamo diverse istanze e sensibilità presenti nella società. Ai dirigenti è richiesta responsabilità e coerenza. Il nostro è un partito che discute», ma «la scissione non ha cittadinanza» nel Pd. Il dato è stabile.
Le tensioni degli ultimi giorni non hanno penalizzato la popolarità dei democratici, assicurano i sondaggisti. Ancora Pessato: «La Leopolda non fa tremare il partito, che rimane stabile a quota 40%, anche perché il centrodestra deve ancora vedere come organizzarsi».
Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing, pur confermando l’assenza di oscillazioni nei sondaggi, teme per la vita dell’esecutivo: «Rischia di durare pochi mesi, le frizioni interne hanno scavato trincee profonde».
Una situazione voluta dallo stesso Renzi. Le sue accuse alla minoranza interna sono state dure. Quasi che voglia provocare lui la scissione. Quasi che desideri tirare la corda per accelerare il voto anticipato al fine di levarsi dalle balle la vecchia guardia del partito. Concorda anche Renato Mannheimer dell’istituto Ispo: «Dipenderà dalle decisioni del leader se gli altri sceglieranno o meno di separare le proprie strade».
Piepoli definisce questo scenario, che continua a ritenere improbabile, come «una scissione dell’anima». Ma sarebbe Renzi ad andarsene, spostandosi al centro e dando vita al cosiddetto “Partito della Nazione”. «Renzi», spiega all’AdnKronos il politologo Alessandro Campi, «ha messo in conto di perdere qualcosa alla sua sinistra, ma il premier pensa di compensare le perdite con nuovi acquisti».
Quella che vuole fare il rottamatore «non è la Dc, ma neanche metterà su la “Big Tent”, la grande tenda alla Tony Blair. Il leader del Pd è postclassista». Più che a marcare la differenza tra sinistra e destra, Renzi ci tiene a distinguere tra «il vecchio e il nuovo». Così facendo, però, ammonisce Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, «l’elettorato rischia di vedere un partito che non riesce a essere sufficientemente coeso per dare stabilità all’azione di governo». Dissidi che potrebbero «portare gli elettori del Pd a votare il Movimento 5 Stelle».