IL PIEMONTE CI RICASCA – DOPO LO SCANDALO DELLE FIRME FALSE DEL LEGHISTA COTA ANCHE IL PIDDINO CHIAMPARINO RISCHIA DI CADERE PER LO STESSO MOTIVO – IL 9 LUGLIO UDIENZA AL TAR. SE GLI VA MALE, IL PRESIDENTE DEMOCRAT CHIEDERÀ DI TORNARE ALLE URNE IN AUTUNNO
Diego Longhin per “la Repubblica”
GIULIANO SORIA SERGIO CHIAMPARINO
A poco più di un anno dal voto che ha incoronato Sergio Chiamparino presidente della Regione, archiviando il centrodestra a trazione leghista di Roberto Cota finito nella melma della “fasulla” lista Pensionati, in Piemonte si potrebbe tornare presto alle urne. Già in autunno se ci sarà la finestra elettorale e se vinceranno le pulsioni dello stesso Chiamparino che non vuole rimanere imprigionato nelle sabbie mobili dell’inchiesta firme false che ha investito il Pd pochi mesi dopo il voto di maggio 2014.
Già. Di nuovo una questione di firme, tecnicamente molto diversa da quella che aveva inguaiato il suo predecessore, ma lo sviluppo, che rischia di essere lungo, e l’esito, potrebbero portare allo stesso risultato. Due i procedimenti aperti a luglio 2014. Il primo dopo l’esposto in procura a Torino dell’eurodeputato del Carroccio Mario Borghezio, sulla regolarità delle firme e delle autentiche a sostegno delle liste Pd di Torino e Cuneo e del listino regionale che garantisce il premio di maggioranza e l’elezione del presidente.
In contemporanea l’ex consigliera provinciale della Lega, Patrizia Borgarello, ha bussato alle porte del Tar del Piemonte per un ricorso che ha l’obiettivo di annullare liste e voto.
L’ex presidente Cota per mollare aveva aspettato, dopo quattro anni, l’ultima sentenza del Consiglio di Stato che aveva posto la parola fine al suo governo. Chiamparino già il 9 luglio, quando si riunirà il Tar del Piemonte per la terza volta, se non ci sarà un indirizzo chiaro da parte dei giudici amministrativi, potrebbe mollare. Questo non vuol dire che Chiamparino uscirà di scena.
Il governatore in questa storia non ha nessuna responsabilità e saranno altri, soprattutto tra i vertici dei Democratici piemontesi, che verranno offerti in sacrificio. A partire dal segretario regionale, Davide Gariglio, che è anche capogruppo in Regione e domani si confronterà con il governatore per calibrare i prossimi passi in vista del 9 luglio, e dal numero uno torinese, Fabrizio Morri.
Sergio Chiamparino e Romani Prodi
Se l’epilogo per il presidente dovesse essere negativo, Chiamparino è già pronto a ripresentarsi con il Pd, non accettando diktat dal partito e scegliendo lui le persone, oppure mettendo a punto una lista istituzionale con i migliori nomi del Piemonte. Soluzione che non convince i vertici Democratici, ma si aspetterà dopo il 9.
Sabato a Torino il vicesegretario nazionale del Pd, Lorenzo Guerini, non ha fatto mancare il suo appoggio a Chiamparino. «È stato eletto da una vasta maggioranza di piemontesi con un consenso cospicuo e importante- ha detto il vice di Renzi- e credo che quegli stessi elettori vogliano che lui continui a lavorare per la Regione così come sta facendo».
Parole apprezzate dal governatore che, per evitare fraintendimenti, ieri ha rotto il silenzio e ha risposto a Guerini: «Continuerò il mio lavoro con ancora più impegno e determinazione se non emergerà ombra alcuna sulla legittimità della mia candidatura e quindi della mia elezione». E ha aggiunto: «In caso contrario non credo che i nostri elettori, e nemmeno in generale tutti i piemontesi, siano d’accordo nel vedermi ripetere quanto ha fatto Roberto Cota, che ha anteposto l’attaccamento alla poltrona alla legalità e alla certezza dell’azione di governo ».
Fra le righe un messaggio al suo predecessore che ha deciso di insinuarsi come parte lesa nel procedimento penale sulle firme false. Il messaggio di Chiamparino è chiaro: «Siamo diversi».
Cosa ha portato il Pd del Piemonte ad inguairsi? La voglia di dimostrare di poter raccogliere le firme. Un passo non necessario. Sarebbe bastato il riconoscimento automatico del segretario Renzi alle liste. Ma il 23 aprile 2014, quando per questioni politiche cambia uno dei nomi nel listino del presidente, Domenico Mangone depennato a favore di Valeria Caputo, e bisogna ricominciare tutto daccapo, nessuno pensa alla comoda firma di Renzi in cassaforte.
Si rifà la raccolta. «Ora non lo farei più, ma all’epoca lo volevano tutti», dice il segretario Gariglio. In 48 ore succede di tutto. E qualche gola profonda, come l’ex consigliere Idv della Provincia Roberto Cermignani, che Chiamparino non aveva voluto in lista, fa arrivare materiale alla Lega che fa l’accesso agli atti. Parte l’inchiesta penale, con undici indagati tra cui quattro dipendenti del Pd, dai pm Patrizia Caputo e Stefano Demontis, e il ricorso al Tar.
bossi battezza cota con l acqua del Po
Procedimento decisivo per il futuro di Chiamparino che ha vinto le elezioni con uno scarto di 600 mila voti, mentre Cota aveva una differenza di 10 mila voti, “annullati” dalla fasulla lista Pensionati che ne aveva presi più di 20 mila.
L’avvocato di Chiamparino, Vittorio Barosio, è convinto che il 9 luglio i giudici, guidati da Lanfranco Balucani, faranno la prova di resistenza e sarà positiva per il governatore: dalle firme presentate si sottrarranno quelle non valide (i ricorrenti ne contestano più di 1722) e si vedrà se il numero di sigle “buone” è sufficiente per tenere in piedi le liste. L’unica soluzione positiva per il presidente. Le altre, come aggiornarsi e permettere alla Borgarello di presentare una querela di falso, allungherebbero i tempi. Ma Chiamparino non vuole.