POLVERE DI CINQUESTELLE - CON BEPPEMAO DEFILATO, LE LOTTE INTESTINE, L’ASCESA DI SALVINI E IL RENZUSCONI DOMINANTE, IL M5S E’ ALL’ANGOLO - GLI EX FALCHI CHIEDONO A CASALEGGIO E A GRILLO DI FARSI DA PARTE - L’ASSE TRA GRILLINI E LEGHISTI IN EUROPA
1. I DISSIDENTI GRILLINI RIALZANO LA TESTA: “COSÌ PERDIAMO PEZZI” - IL FALCO MORRA: DOBBIAMO CONFRONTARCI CON LE ALTRE FORZE POLITICHE
Francesco Maesano per “la Stampa”
Una reazione a distanza, sei mesi dopo l’amaro risveglio delle Europee, quando il Pd che sembrava a una lunghezza finì a pochi decimi dal doppiaggio. L’Emilia Romagna assegna al M5S un magro tredici per cento e provoca nel corpo politico della creatura di Grillo e Casaleggio una scarica di convulsioni.
Lui, il diarca genovese, c’aveva anche provato a mettere tutto sotto ghiaccio, provando a spiegare dal suo blog che no, non è stata una débâcle, che i consensi e i consiglieri sono aumentati rispetto al 2010. Poi ha tentato di spedire la palla lontano dall’area di rigore, pubblicando un post dal contenuto controverso sul delitto Matteotti: nessuno abbocca, l’attenzione resta sul flop alle Regionali.
Primo pomeriggio. I volti e le voci dell’area critica, i cosiddetti dissidenti, calzano l’elmetto ed escono allo scoperto. Stazionano in Transatlantico, cercano i giornalisti al telefono, si sporgono dalle bacheche dei social network. Tutti insieme, un’azione coordinata, decisa giorni fa quando il risultato di domenica era ormai dato per assodato.
Casaleggio VAFFADAY DI GENOVA FOTO LAPRESSE
Sebastiano Barbanti parla di un crollo verticale e chiede autocritica. Tommaso Currò vuole un direttivo che guidi il Movimento al posto dei diarchi. Per Patrizia Terzoni: «Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma la realtà è che quel bicchiere è rotto e piano piano si sta svuotando».
Ancora più netta Paola Pinna: «Il Movimento perde pezzi, è inutile nasconderlo. Ci siamo auto-condannati all’esclusione rinunciando al nostro ruolo di innovatori». Tancredi Turco dice senza mezzi termini che chi ha tenuto il timone della barca ora deve passare la mano. E ancora Rostellato, Barbanti. Walter Rizzetto sintetizza per tutti: «Basta logiche dall’alto, meno social network e più politica».
Salta la prima regola del fight club: non si parla del fight club. Le due linee che si fronteggiano dall’ingresso degli onorevoli cittadini in Parlamento, quella che vuole più politica e quella che non ne vuole sapere di abbandonare il côté antisistema, vanno allo showdown. torna l’eterno dibattito sulla presenza dei Cinque stelle nei talk show, si riaprono le polemiche sul ruolo degli uffici della comunicazione. Il M5S emiliano è in pezzi. La senatrice Bulgarelli parla di «metodo mafioso» e si sfoga: «Avremmo liberato la regione dai partiti, occasione irripetibile e invece, che amarezza».
L’ala dura prova a tenere il fortino. Di Battista definisce il Parlamento un «postribolo di massoni» e si chiede che senso abbia «restare sempre qui dentro nella ruota del criceto. In questo Palazzo privo di senso. Dove stiamo 16 ore al giorno quando le decisioni importanti le prendono a Bruxelles, ad Arcore, in qualche paradiso fiscale o a Corleone». Parole d’ordine e invettive che provengono dall’epica del Movimento, dai giorni ruggenti del consenso in ascesa, delle piazze stracolme d’indignazione per il Suv del consigliere, per la nota spese della segretaria.
Ma nella ridotta restano in pochi. Uno che fino a poche ore fa era considerato un falco come Nicola Morra sposa la tesi del ricambio ai vertici: «Beppe e Gianroberto sono i padri nobili di questo Movimento, ma ora devono lasciare che il loro figliolo si assuma le responsabilità connesse all’età adulta», dice, rivendicando lo striminzito cinque per cento colto in Calabria come «un risultato tutto nostro, arrivato senza che Grillo venisse a fare campagna elettorale».
Morra prova anche ad anticipare il prossimo tavolo di confronto, il prossimo risultato da raggiungere cercando l’interlocuzione con le altre forze politiche: è il reddito di cittadinanza, tema comune a tutte le anime agitate che popolano la casa comune del Movimento.
Uno solo tace, nel giorno più lungo del M5S. È Luigi Di Maio. Il giovane vicepresidente della Camera non si espone. Attende, spiega chi lo conosce, per non dover restare in mezzo al guado. Che questa corrente rischia di portarsi via tutto, anche le leadership in pectore.
2 - EUROPA, LA STRANA ALLEANZA TRA SALVINI E I 5 STELLE INSIEME CONTRO JUNCKER, MA NON È SOLO UN CASO
Marco Zatterin per “la Stampa”
Chi ha visto le carte racconta che Matteo Salvini non era fra le firme della prima versione della mozione di sfiducia attivata dai grillini contro Jean-Claude Juncker. «E’ arrivato alla fine», sussurrano all’Europarlamento, dove i Cinque stelle hanno unito per la prima volta il fronte euroscettico e nazionalista dell’assemblea comunitaria nella missione di cacciare il presidente della Commissione. Cioè «la peggiore immagine dell’Europa», come l’ha chiamato in aula a Strasburgo Marco Zanni, primo firmatario della procedura. Giovedì si vota e non passerà. Tuttavia, c’è chi scommette che la storia non finisce qui, soprattutto per Lega e M5S.
I due schieramenti si guardano in cagnesco da sempre, e dopo il voto in Emilia il clima è anche peggiorato. A Bruxelles, le cose sono diverse. Il Carroccio ha solo quattro deputati contro i 17 con la casacca dei «Crickets» (i «grilli», come li chiamano gli anglofoni) e non è riuscito a far gruppo con la destra francese della Le Pen. Grillo ha invece scelto come socio Nigel Farage, euroscettico indipendentista e nuclearista dell’Ukip, col qual ha siglato un’alleanza d’interessi in cui ognuno può votare come ritiene (capita una volta su 3-4). I rapporti di forza in Europa saranno rovesciati rispetto all’Italia sino al 2019.
La mozione anti Juncker, indebolito dalle rilevazioni sugli accordi segreti fra oltre 300 imprese e il Lussemburgo di cui è stato al vertice per oltre vent’anni, suggerisce la nascita di un laboratorio di anime varie (anche nere) al servizio del rifiuto dell’euro. Se giovedì la mozione ottenesse qualche solido voto in più dei 75 che l’hanno firmata, sulla «rive droite» dell’Europa potrebbe consolidarsi la tentazione di riprovarci, di seguire il motto dell’Europa che non digeriscono, ma secondo il quale «l’unione fa la forza».
Fonti grilline negano che ci sia più che quello che si vede. «Eravamo pronti ad accettare tutti, senza pregiudizi anche quelli della Sinistra Gue», racconta una voce autorizzata a parlare, che nega un interesse particolare per Salvini e i suoi. I quali, invece, hanno orientamenti più flessibile. Dopo il sorpasso nella doppia tornata locale del fine settimana, hanno intenzione di amplificare la loro offensiva dall’Europa contro l’Europa che li ha fatti salire nei consensi.
«Un patto scettico fra Bruxelles e Strasburgo potrebbe essere interessante, ma è presto per parlarne», dice una fonte leghista. Non importa se tocca dialogare con la destra radicale e anche xenofoba. Il fine, di questi tempi, sembra voler sempre più facilmente giustificare il mezzo.