POTREBBERO CHIAMARLA “LEGGE D’AMBROSIO” - LA MORTE DEL CONSIGLIERE DARA’ UNA BELLA ACCELERATA ALLA STRETTA SULLE INTERCETTAZIONI? - VIETTI: “L'HO SENTITO AL TELEFONO PROPRIO IERI MATTINA PER SOTTOPORGLI UNA QUESTIONE” - ANCHE IL VICEPRESIDENTE DEL CSM SI ISCRIVE AL PARTITO DELL’ “INFARTO PROCURATO”: “LO STREPITUS FORI DI QUESTI ULTIMI MESI, BEN PIÙ CHE IL MERITO DELLA VICENDA IN CUI È STATO COINVOLTO, LO HA PROVATO…”

Massimo Martinelli per il Messaggero

Presidente Vietti, qual'è il suo ricordo di Loris D'Ambrosio come uomo, al di fuori dei formalismi e del cerimoniale che i vostri ruoli imponevano?
«Ricordo anzitutto la sua disponibilità. Ci sentivamo più volte al giorno anche nelle ore più improbabili. Il suo ruolo di consigliere per gli affari di giustizia di Giorgio Napolitano lo rendeva il tramite tra il Csm e il capo dello Stato nella sua funzione di presidente dell'organo di governo autonomo della magistratura.

La profonda cultura giuridica di Loris D'Ambrosio, la sua grande esperienza non solo di magistrato impegnato in inchieste delicate e difficili ma anche di capo di Gabinetto al ministero della Giustizia e poi di consigliere alla Presidenza, il suo radicato senso delle istituzioni e, non ultimo, il suo equilibrio e la sua pacatezza temperamentale e culturale ne hanno fatto per me un punto di riferimento, che temo sarà insostituibile, nel difficile ruolo che sto esercitando. Posso serenamente affermare che la sintonia tra le mie posizioni e quelle del presidente della Repubblica nella conduzione dei lavori del Consiglio Superiore è merito anche della preziosa opera di interlocuzione svolta dal consigliere D'Ambrosio».

Il capo dello Stato ha parlato di «campagna irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose» nei suoi confronti. Si sente di aggiungere qualche considerazione?
«Credo che la riservatezza sia stata una delle caratteristiche principali del tratto umano di Loris D'Ambrosio: a mio parere lo strepitus fori di questi ultimi mesi, ben più che il merito della vicenda in cui è stato coinvolto, lo ha provato. Le affermazioni del capo dello Stato sono il segno di un grande affetto e di una grande stima per un prezioso collaboratore. Da parte mia non mi sento di aggiungere altro sia per rispetto del presidente della Repubblica sia perché sono convinto che questo sarebbe quello che Loris D'Ambrosio mi avrebbe detto se io gli avessi chiesto un consiglio».

Qual'è stata l'ultima volta che aveva avuto modo di vederlo?
«L'ho sentito al telefono proprio questa mattina (ieri, ndr) per sottoporgli una questione che doveva essere discussa dal plenum nella seduta odierna. Ed ancora una volta ho ricevuto tempestiva e puntuale risposta, con la consueta competenza tecnica e documentata preparazione. Abbiamo scherzato sul fatto che la sera prima ci siamo rincorsi telefonicamente a tarda ora senza trovarci».

Con le cautele che le impone il suo ruolo, qual è il suo punto di vista sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche tra il senatore Mancino e il capo dello Stato, che inevitabilmente rappresenta lo scenario in cui si è consumata la tragica fine del consigliere D'Ambrosio?
«Il capo dello Stato ha legittimamente sollevato sul punto conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Ciò non esclude che, anche alla luce delle più recenti vicende, il legislatore possa finalmente affrontare il tema delle intercettazioni non come arma impropria da usare contro gli avversari politici, ma per regolamentare meglio e più compiutamente questo indispensabile strumento di indagine, in un equilibrato rapporto con la tutela della riservatezza di chi è estraneo ai fatti o gode di specifiche prerogative e la sacrosanta libertà di stampa. E' del tutto incoerente lamentarsi dei guasti del sistema e poi non portare mai a termine una ragionata e condivisa opera di riforma».

Quale pensa che dovrebbe essere l'atteggiamento della procura di Palermo, nelle more della decisione della Consulta sul conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato?
«Il conflitto di attribuzione ha regole ben definite dalla legge; si tratta di un processo in cui i poteri dello Stato in conflitto rappresentano al giudice costituzionale le proprie ragioni e si affidano al giudizio della Consulta, competente a decidere se vi sia stata lesione delle prerogative da parte dell'uno o dell'altro potere in conflitto. Nulla di più e di diverso da quanto accade tutti i giorni nelle aule di giustizia. Non ci resta perciò che attendere con serenità il giudizio della Corte».

 

MICHELE VIETTI napo dambrosio dambrosio LORIS D'AMBROSIO ambrosio GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO

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