Mirko Molteni per “Libero Quotidiano”
Una grossa squadra navale russa si dirige verso le acque siriane per aumentare il potenziale da scatenare contro l'Isis e gli altri jihadisti avversari di Assad, ma Londra la pensa diversamente e parla di «aggressione russa» in Europa, per il solo fatto che le navi stanno solcando acque vicinissime alla Gran Bretagna.
Il primo ministro inglese Theresa May ha dichiarato infatti durante un vertice dell'Unione Europea a Bruxelles: «Nonostante la Brexit dobbiamo continuare quella robusta e condivisa postura di fronte all'aggressione russa. Dobbiamo pressare la Russia perché fermi le sue atrocità in Siria». E ciò, nonostante Mosca abbia sospeso i bombardamenti su Aleppo per favorire la creazione di corridoi umanitari, seppure sia uno stop temporaneo in attesa di riprendere la spallata finale.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha ribattuto alla May additando come prima causa dei disastri in Medioriente, dalla Libia alla Siria, «le interferenze occidentali e la mania di voler cambiare i regimi politici a casa altrui». La Gran Bretagna ha il dente avvelenato perché si sente sfidata dalla squadra navale della Flotta del Nord, salpata pochi giorni fa da Severomorsk, nella penisola di Kola, e che dopo essere stata segnalata martedì da aerei da ricognizione P-3 Orion dell' aviazione norvegese al largo della Scandinavia, presso Trondheim, è poi passata a 160 km dalla Scozia, discendendo nel Mare del Nord.
Ora la flotta si accinge a entrare nel canale della Manica, a poche miglia dalle coste inglesi. In sé nulla d' illegale, le navi russe percorrono acque internazionali e hanno diritto di libero passaggio, come del resto la stessa flotta americana ha sempre rivendicato in tutti gli oceani del mondo per le sue forze. Ma brucia agli anglosassoni il messaggio non verbale del capo del Cremlino, Vladimir Putin, che mostra di non farsi intimorire.
Ieri la flotta britannica, la Royal Navy, ha iniziato a pedinare da vicino le navi russe, inviando sulla loro scia l' incrociatore Duncan e la fregata Richmond. La squadra russa aggirerà nei prossimi giorni la Spagna ed entrerà nel Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra, puntando dritta verso le acque antistanti la Siria, forse rifornendosi nella base di Tartus.
È composta da ben otto navi fra cui spicca la portaerei Admiral Kuznetsov, un colosso da 60.000 tonnellate, più piccola delle portaerei americane, ma pur sempre dotata di 37 aerei da combattimento, fra Sukhoi Su-25 e Su-33 e Mig-29, più 26 elicotteri Kamov. Fra le altre navi, la più potente è l' incrociatore Pietro il Grande, a propulsione nucleare, che da solo imbarca ben 20 missili antinave Granit, più addirittura 230 missili antiaerei di varia gittata.
Il che fa della nave intitolata al famoso zar del 1700 un «arsenale galleggiante» in grado di fornire alla squadra navale un notevole ombrello contro eventuali sorprese dall' aria. La squadra del Nord porterà fra pochi giorni a oltre 20 unità l' entità totale della flotta russa dislocata in Siria, già rafforzata pochi giorni fa anche dall' arrivo di tre unità aggiuntive dalla flotta del Mar Nero, le corvette Mirazh, Serpukov e Zelenyy Dol, unità piccole, ma armate con missili da crociera Kalibr con cui bombardare obbiettivi terrestri dell' Isis, e anche con missili antinave Malakhit.
Dato che i jihadisti non possiedono aviazione, né navi di superficie, la presenza massiccia di navi con armamento antiaereo dà un preciso ammonimento agli Usa e ai loro alleati, indicando che l'«Armada» russa è in grado di difendersi da ogni tipo di minaccia e che sarebbe in grado pure di sventare un tentativo di «no-fly zone» che eventualmente Washington volesse far imporre usando i suoi caccia di base in Turchia. Del resto, l' imminenza delle elezioni americane potrebbe anche spingere i vertici USA a forzare la situazione per obbligare anche un eventuale Trump vincitore a ritrovarsi prigioniero di una situazione irreversibile.
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