QUANDO BEPPE GRILLO SI PREOCCUPAVA PER LO SPREAD (E OGGI INVECE TACE) - IL 29 LUGLIO 2011, QUANDO A PALAZZO CHIGI C’ERA BERLUSCONI, BEPPEMAO SCRISSE A NAPOLITANO UNA LETTERA ALLARMATA DOPO CHE IL DIFFERENZIALE BTP-BUND ARRIVO’ A 339 PUNTI: “L’ITALIA E’ VICINA AL DEFAULT, I TITOLI DI STATO RICHIEDONO UN INTERESSE SEMPRE PIU’ ALTO PER ESSERE VENDUTI…” - E SU MARIO MONTI DICEVA…
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
Spread a 313, e lui zitto. Spread a 320, e lui zitto. Ma quando schizza a 339, Beppe Grillo non si tiene più. E scrive un' allarmatissima lettera al Capo dello Stato: «L' Italia è vicina al default i titoli di Stato richiedono interessi sempre più alti le banche sono a rischio hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze non sono più in grado di salvare il Tesoro» «Ma se l' è? Matt?», chiederebbe Enzo Jannacci in «Ho visto un re».
il presidente emerito giorgio napolitano (3)
No. Il fatto è che a spaventare il profeta dei 5 Stelle non è l' impennata «gialloverde» dello spread di oggi. Ma quella dell' ultima estate «berlusconiana» prima della caduta. Impennata che venerdì 29 luglio 2011 tocca i 339 punti. Uno in meno del picco di 340 (poi un po' rientrato) di ieri. È in quel momento che Grillo decide di mandare a Giorgio Napolitano (che poi definirà «un uomo che ha violentato la Costituzione») la lettera che oggi val la pena di rileggere.
«Spettabile presidente, quasi tutto ci divide, tranne il fatto di essere italiani e la preoccupazione per il futuro della nostra Nazione. L'Italia è vicina al default, i titoli di Stato, l' ossigeno (meglio sarebbe dire l' anidride carbonica) che mantiene in vita la nostra economia, che permette di pagare pensioni e stipendi pubblici e di garantire i servizi essenziali, richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizzazioni.
Un' impresa impossibile senza una rivolta sociale. La Deutsche Bank ha venduto nel 2011 sette miliardi di euro dei nostri titoli. È più di un segnale: è una campana a martello che ha risvegliato persino Romano Prodi dal suo torpore».
Poi, l'attacco all'esecutivo di Berlusconi: «Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell' evidenza». Quindi l'allarme per le banche italiane che «sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso crediti inesigibili. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l' acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto.
Ora devono pensare a salvare se stesse». Fino all'«intimazione»: «In questa situazione lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l' unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi».
Non starà pensando a Mario Monti? Niente nomi, ma «gli italiani, io credo, sono pronti ad affrontare grandi sacrifici per uscire dal periodo che purtroppo li aspetta, ma solo a condizione che siano ripartiti con equità e che l' esempio sia dato per primi da coloro che li governano. Oggi non esiste purtroppo nessuna di queste due condizioni».
Indimenticabile il richiamo a «un altro mese di luglio, nel 1943» quando «i fascisti del Gran Consiglio, ebbero il coraggio di sfiduciare il cavaliere Benito Mussolini, l'attuale cavaliere nessuno lo sfiducerà in questo Parlamento trasformato in un suk, né i suoi sodali, né i suoi falsi oppositori. Credo che lei concordi con me che con questo governo l' Italia è avviata al fallimento economico e sociale e non può aspettare le elezioni del 2013» Insomma, «L'articolo 88 della Costituzione le consente di sciogliere le Camere. Lo usi se necessario per imporre le sue scelte prima che sia troppo tardi».
Per carità, anni diversi, situazioni diverse, fronti politici diversi. Eravamo nel pieno della grande crisi deflagrata nel 2007/2008, il Fondo aiuti affitti alle famiglie povere era stato appena tagliato del 74%, i finanziamenti all' istruzione del 38%, quelli per il rischio idrogeologico (in quattro anni) addirittura all' 84,8%... Insomma, l'Italia era nei guai fino al collo. Prospettive nerissime. E bene fece Grillo a manifestare la sua preoccupazione per i destini del paese. Ma oggi?
Perché, salvo rare sortite scivolate via, ha preferito il silenzio a dispetto di notizie come quella che ad agosto «gli investitori esteri hanno venduto titoli del debito sovrano complessivamente per 8,7 miliardi» e che tra gennaio e agosto i non residenti «hanno ridotto le consistenze di titoli italiani di 42,8 miliardi» (l' ha appena ricordato Milano-Finanza) con disinvestimenti che «hanno riguardato soprattutto i titoli pubblici (24,9 miliardi) e le obbligazioni bancarie (12,4 miliardi)»?
Pochi mesi dopo quell' appello dai toni drammatici il fondatore nel M5S spiegava già a novembre sul suo blog che «la caduta del fascismo avvenne per una guerra mondiale persa. Quella del berlusconismo per un disastro economico di livello europeo. I liquidatori furono allora gli angloamericani, oggi i tedeschi e i francesi. Lo spread sopra i 500 punti ha cacciato queste caricature di governanti, di ministri e ministresse, non l' opposizione». Una settimana e rincarava: «Lo spread ha sostituito il corpo elettorale. Il colpo di spread al posto del vecchio colpo di Stato. Nessuno rimpiange Berlusconi, ma tutti dovremmo rimpiangere la democrazia».
È curioso, tuttavia, andare a rileggere oggi quanto Grillo pensava allora di Mario Monti chiamato non a fare nuovi debiti ma a «mettere una pezza» (copyright di Beppe) ai buchi di bilancio spalancati da altri: «Io credo che ora questo Paese abbia bisogno di persone credibili, come lo è Monti, per traghettare questo Paese alle elezioni del 2013, cambiando la legge elettorale, il conflitto di interessi e bloccare il debito. Non ha iniziato male, io non mi permetto di dare un giudizio negativo su di lui».
Era il 21 dicembre 2011, l'intervista era sulla rivista Oggi. L'ex commissario Ue aveva giurato da un mese e mezzo, aveva avuto la fiducia annunciando l'obbligo di tagli dolorosi, aveva presentato da due settimane l'ustionante riforma delle pensioni accanto a quella Elsa Fornero poi bombardata dai grillini e dai futuri alleati leghisti.