QUIRINALOTTO – FOLLI AVVERTE RENZIE: STAI PERDENDO LA PARTITA – CON IL NOME DI AMATO SUL TAVOLO, IL PREMIER SPACCONE O SI ARRENDE (E RISCHIA DI USCIRE DI SCENA) OPPURE RILANCIA UN SUO NOME, VINCE E PERÒ DICE ADDIO AL PATTO DEL NAZARENO SUL QUALE CAMPA IL SUO GOVERNO

L’editorialista di Repubblica: “Naturalmente esiste ancora la possibilità di una mediazione, ma fra poco potrebbe essere tardi. Forse lo è già. Sarebbe stato meglio per Renzi cominciare a mediare quando le acque erano più tranquille”…

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Stefano Folli per “la Repubblica”

 

Matteo Renzi Matteo Renzi

FINO a ieri la soluzione del rebus Quirinale poggiava su due scenari fra loro divergenti. Secondo il primo, il filo fra Berlusconi e Renzi era d’acciaio e portava appeso il nome del prossimo presidente della Repubblica: più o meno coperto, più o meno insospettabile, ma destinato a emergere al momento giusto spiazzando i dubbiosi dei diversi schieramenti. Lo spavaldo ottimismo del premier (scheda bianca nelle prime tre votazioni e poi alla quarta elezione sicura) accreditava questa ipotesi: un «patto del Nazareno» così solido e totalizzante da rendere irrilevanti le fratture all’interno del Pd, il partito di cui Renzi è il segretario.

 

RENZI E DON GEORG RENZI E DON GEORG

Il secondo scenario racconta un’altra realtà. Il patto esiste ma reca evidenti segni di logoramento. Berlusconi non si accontenta più di essere il numero due di Renzi e dopo avergli dato l’Italicum con il premio alla lista anziché alla coalizione (senza peraltro che ieri i suoi voti siano stati determinanti) non ha voglia di regalargli anche un presidente della Repubblica scelto a Palazzo Chigi. Ne deriva che saremmo alla vigilia di uno scossone destinato a cambiare la geografia delle alleanze esplicite e soprattutto implicite.

 

Quello che sta accadendo nelle ultime ore sembra accreditare la seconda fotografia rispetto alla prima, invecchiata all’improvviso. Renzi teme — e lo dice — un’intesa alle sue spalle fra la minoranza del Pd (D’Alema e Bersani) con Berlusconi per fare blocco sul nome di Giuliano Amato. Se fosse un timore fondato, e finora non ci sono prove che lo sia, le conseguenze non sarebbero di poco conto.

 

renzi dalema fassina civati gioco dello schiaffo renzi dalema fassina civati gioco dello schiaffo

In primo luogo vorrebbe dire che l’elezione del presidente della Repubblica non passa più attraverso la regìa di Palazzo Chigi, ma percorre altre strade nei meandri della Roma politica. Eventualità possibile sulla carta, ma non indolore. Il presidente del Consiglio sarebbe posto di fronte a due scelte. O accetta l’accordo sottoscritto sulla sua testa da altri, compreso il vecchio alleato «nazareno», e subisce un danno forse irreversibile alla sua «leadership »; ovvero si mette di traverso, facendo appello alla maggioranza renziana del Pd, per far saltare l’accordo. Il che significa però prendere atto che il vecchio assetto fondato sulla convergenza con Berlusconi è finito alle ortiche. Doveva costituire l’asse della legislatura e invece non ha retto al passaggio più difficile e qualificante, la successione di Giorgio Napolitano.

ROTTAMA STO CAZZO I DALEMIANI CONTRO RENZI ROTTAMA STO CAZZO I DALEMIANI CONTRO RENZI

 

Ognuna delle due ipotesi comporta più rischi che vantaggi. Nel primo caso, Renzi avrebbe perso la sua aureola di invincibile e, quel che è peggio, si troverebbe al Quirinale un capo dello Stato che non gli deve nulla. Il premier sarebbe molto indebolito e non in condizione di orientare la legislatura secondo la sua volontà.

dalema berlusconi dalema berlusconi

 

Nel secondo caso, Renzi dovrebbe in un certo senso sfidare se stesso, oltre che la sorte avversa. Dopo aver coltivato per mesi la mitologia del Nazareno, avrebbe un drammatico bisogno di voltare pagina, cercando in fretta un «piano B». In un simile contesto il nome di Sergio Mattarella potrebbe (diciamo potrebbe) essere usato per fermare la candidatura di Amato. Naturalmente questo significa per il premier gettarsi nella mischia, diventando l’uomo che accetta fino in fondo la sfida all’interno stesso del Pd, mettendo e subendo «veti» a personalità istituzionali di primo piano. Conseguenza inevitabile: se Renzi emerge vincitore dalla battaglia, il patto con Berlusconi non esiste più e bisognerà costruire una nuova cornice per le riforme. E prima o poi anche per il governo.

DALEMA E BERLUSCONI DALEMA E BERLUSCONI

 

Se viceversa il presidente del Consiglio dovesse perdere dopo aver combattuto, è chiaro che la sconfitta sarebbe clamorosa e potrebbe obbligarlo addirittura all’uscita di scena. Naturalmente esiste ancora la possibilità di una mediazione, ma fra poco potrebbe essere tardi. Forse lo è già. Sarebbe stato meglio per Renzi cominciare a mediare quando le acque erano più tranquille.

 

 

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