RABBIA SINISTRA – LANDINI PRENDE LA MIRA SU RENZI: ''NON È STATO ELETTO, A RISCHIO LA DEMOCRAZIA'' – “A CHI HA MAI CHIESTO IL MANDATO PER CANCELLARE LO STATUTO DEI LAVORATORI?” – MA SMENTISCE LA NASCITA DI UN PARTITO
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Matteo Renzi davanti ad una foto di Maurizio Landini,
«Io sconfitto? La Fiom ha 350 mila iscritti, più del partito di Renzi. Ma a fondarne un altro non ci penso proprio...». Maurizio Landini smentisce di lavorare a un nuovo contenitore, però la replica a brutto muso al premier annuncia che la sfida non finisce qui. La sconfitta sul Jobs act sanguina come una ferita aperta e Landini si toglie dalle scarpe pietruzze acuminate, che scaglia, dagli schermi di La7, contro Palazzo Chigi: «Chi lo ha mai eletto, Renzi? A chi ha mai chiesto il mandato per cancellare lo Statuto dei lavoratori? Il popolo italiano non lo ha votato, non era quello il programma». Poi l’affondo: «Il premier mette la fiducia sul Parlamento. È a rischio la tenuta democratica del Paese». Se non è una discesa in campo, di certo è una dichiarazione di guerra.
Nel pomeriggio faccia a faccia con Susanna Camusso e al termine dei 90 minuti Landini assicura che «non ci sono segreti», nessuno lo ha convocato «con urgenza». Sembra però che la leader della Cgil lo abbia ammonito, invitandolo a lasciare il sindacato se davvero, come molti sospettano dopo l’intervista al Fatto quotidiano , si candida a guidare l’alternativa al premier. «Non fondo un partito, faccio un altro mestiere — smentisce da Lilli Gruber —. Al premier farebbe piacere... Io mi pongo il problema di cambiare politiche folli che stanno cancellando diritti».
Se Landini spera in una «coalizione sociale larga», è perché bisogna essere uniti se si vuole tentare la via referendaria per ripristinare l’articolo 18. Anche la sinistra del Pd ci pensa, ma teme di appiattirsi su un segretario della Fiom attaccato anche da Annamaria Furlan della Cisl: «Gli lascio volentieri la politica e i salotti tv». Se Landini è isolato, le aperture della sinistra «dem» arrivano timide e tardive. Civati parlerà con lui «di persona» e poiché fin qui le minoranze hanno «traccheggiato sperando che il premier cambiasse verso», mette a disposizione la rete «Possibile» che lanciò a luglio con Vendola a Cuperlo.
A marzo si replica con una grande assemblea, che veda sul palco i principali esponenti delle minoranze. «Basta umiliazioni, dobbiamo prendere l’iniziativa» chiama a raccolta Davide Zoggia. Guai a chiamarla «Leopolda di sinistra», ma l’idea è un po’ quella. Una convention di tutte le anime non-renziane per rilanciare la minoranza fiaccata dalle randellate del premier. «Con Renzi si incide solo se siamo uniti e determinati» si appella ai compagni Alfredo D’Attorre. E annuncia battaglia su capilista bloccati, riforma costituzionale, Fisco e diritti civili.
La batosta sul Jobs act fa soffrire anche i più dialoganti. Speranza dismette i panni del mediatore: «Il governo ha sbagliato a non tener conto del parere delle commissioni sui licenziamenti collettivi. Se viene meno la sintonia tra parlamento e governo, la sfida riformatrice non si vince». Miguel Gotor accusa Renzi di essersi «piegato all’ala più oltranzista di Ncd e Confindustria». La scissione però non la vuole nessuno. Per Fassina il tema è «unire le forze e correggere un’agenda che ricalca quella della troika».