1. QUIRINALE, BRACCIO DI FERRO TRA BERLUSCONI E RENZI. GUERINI (PD): “SI PARTE E SI ARRIVA CON MATTARELLA”. IN SERATA LA SMENTITA: “LA STRADA È ANCORA LUNGA”
La Stampa.it - Al termine di una giornata di incontri, riunioni e veti incrociati, dal Pd arriva la svolta sul nome da candidare al Quirinale. «Si parte e si arriva con Sergio Mattarella», dichiara il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini all’uscita dalla Camera. Poi in tarda serata la smentita: «La partita è ancora lunga ed è tutt’altro che definita su questo e su quel nominativo». Il concetto è ribadito anche dal vicesegretario Pd Debora Serrachiani. «Il Pd - ha dichiarato - ha ancora diverse ore davanti per valutare e decidere, lavoriamo ancora qualche ora. Non ci sono candidati la partita per il Quirinale è apertissima, calma e gesso, definiremo tutto domani».
2. BERLUSCONI TENTATO DALLA CARTA FINOCCHIARO PER FERMARE MATTARELLA - IL GIUDICE COSTITUZIONALE NON CONVINCE NEPPURE ALFANO
Ugo Magri per La Stampa.it
Contro ogni pronostico, Berlusconi e Alfano non si sono traditi a vicenda. Renzi ha tentato di dividerli attaccando per primo colui che riteneva l’anello debole (cioè Angelino). Alle 7 l’ha convocato e gli ha ingiunto di mollare la presa su Amato, dietro al quale il premier crede di intravvedere la sagoma dei propri nemici interni. «Accettate Mattarella», ha consigliato al suo ministro, «e chiudete per sempre con Berlusconi, che vi importa di lui?».
No, Mattarella proprio no, è stata la risposta del leader Ncd. Irremovibile perché, come spiega Cicchitto, con un Presidente di quelle caratteristiche «Renzi troverebbe campo libero e si inaugurerebbe in Italia una monarchia». Il colloquio ha preso una piega sgradevole. Dopodiché Alfano ha incrociato le dita, nel terrore che l’ex Cavaliere cedesse su tutta la linea lasciandolo in un mare di guai.
Il pranzo con Silvio
Renzi l’ha ricevuto a Palazzo Chigi insieme con Letta e Verdini. Clima conviviale, qualcuno si spinge a definirlo affettuoso sebbene Berlusconi non straveda più per Matteo come agli esordi. Pure col Cav il premier ha bocciato l’ipotesi Amato («non lo votano nel Pd e sarebbe un fallimento della mia politica di novità») sfoderando toni di una certa asprezza. E come aveva già fatto all’alba con Alfano, ha piazzato sul tavolo la candidatura di Mattarella.
Berlusconi ha storto la bocca trovando il piatto non di suo totale gradimento. Considera il giudice costituzionale lontano dalla propria sensibilità, a pelle lo percepisce come portatore di valori alternativi. Insomma, dal leader di Forza Italia è arrivato qualcosa che somiglia a un diniego. Circospetto, non maleducato, ma interpretabile come un no. Che tuttavia Renzi rifiuta di accettare come definitivo. Continua a considerare Mattarella un nome spendibile dalla quarta votazione. Silvio, vai a sapere, potrebbe ancora cambiare idea.
I commenti privati
«Dobbiamo salvare Renzi da se stesso», scuoteva più tardi la testa il Cavaliere. Lo considera «troppo superficiale e sicuro del fatto suo», quando invece i trabocchetti spuntano in ogni dove. «Che sbaglio», secondo Silvio, «queste consultazioni al buio, dove Matteo si cimenta senza portare a casa nulla».
Contatti continui con Alfano al quale, facendogli un torto, riteneva mancasse il famoso «quid». Secondo Brunetta, capogruppo alla Camera, «siamo agli stress test», cioè ognuno misura fino a che punto l’altro è disposto a resistere: «Renzi sonda noi, e noi sondiamo lui...».
A Palazzo Grazioli si scommette che il premier tornerà alla carica. Qualcuno studia la contromossa: piuttosto che Mattarella, sussurrano fonti berlusconiane, «meglio una donna del Pd come Anna Finocchiaro, seria ed equilibrata». Oppure addirittura un renziano tipo Del Rio...
Cortina fumogena
Davanti ai propri «grandi elettori», Berlusconi l’ha messa in modo che non si capisse granché. «No a una figura radicata nella sinistra», ha detto. Vogliamo un politico esperto e conosciuto sul piano internazionale», ha aggiunto. I conti veri li farà con Renzi tra oggi e domani (se i giudici gli daranno il permesso di trattenersi a Roma di venerdì: perché il «king maker» del Quirinale sta scontando la pena).