Alberto Bagnai per "il Fatto Quotidiano"
Dopo le riforme del mercato del lavoro e della scuola, tutti vedono come Renzi stia facendo quello che Berlusconi non avrebbe potuto fare senza suscitare un pandemonio. Per una infausta illusione ottica, Renzi sembra de sinistra, e così i suoi elettori, fino a che non vengono direttamente toccati, gli perdonano tutto.
La vicenda dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) segna però una svolta decisiva : da quello che Berlusconi non avrebbe potuto, Renzi è passato a quello che Berlusconi non si sarebbe sognato di fare. Vale la pena di dare qualche cifra.
Cinque giorni fa il Financial Times ricordava la preminenza italiana nel patrimonio culturale dell'umanità. Per conservare questo patrimonio facciamo molto poco. Dal confronto con i tre paesi più grandi dell'Eurozona (quelli a noi più affini per storia e cultura), emerge che fra 2007 e 2013 con il nostro 0, 37% del Pil siamo ultimi, dietro a Francia (0, 75%), Spagna (0, 59%) e Germania (0, 39%). Di questo totale esiguo (che comprende le spese di funzionamento dei siti e dell' apparato amministrativo, gli interventi di restauro, ecc.), una percentuale ancora più esigua sussidia le attività culturali (teatri, orchestre, ecc.).
Orchestra dei Filarmonici di Roma
La Germania destina più del 5% del totale ai sussidi (circa 500 milioni di euro), mentre noi meno dell' 1% (circa 60 milioni di euro). La Cenerentola di questa fiaba triste è la musica, arte della quale il nostro paese ha creato forme e linguaggio, ma che bistratta, dedicandole una percentuale minoritaria del totale.
Nel 2015 i fondi sono stati ulteriormente tagliati di circa il 5%, scendendo a circa 33 milioni, ma quello che ha particolarmente offeso è stato il modo. Mentre le grandi istituzioni orchestrali sono state preservate (pur fra qualche polemica), associazioni concertistiche e festival si son visti sfilare il 10% (altri 2 milioni).
Sono state così penalizzate rassegne e istituzioni di prestigio, come i Festival di Viterbo e di Barga, e le accademie Chigiana e di S. Cecilia. Generosi con il pop, i tagliatori si sono accaniti particolarmente col rinascimento e il barocco: per capirci, il periodo che vada Palestrina a Vivaldi, artisti che Renzi e il suo staff difficilmente frequenteranno, ma che hanno impresso il marchio dell'Italia sulla storia della civiltà.
Spulciando fra le liste si scoprono così casi paradossali, come quello del finanziamento negato all' Ensemble Mare Nostrum, che si è appena preso un Diapason d' oro in Francia incidendo musica rinascimentale italiana. Mentre realtà di livello internazionale vengono mortificate, il ministero si difende dicendo che la scelta è stata fatta da un "algoritmo". Manzoni però ci ha insegnato a diffidare da chi ricorre al latinorum: Salvatore Accardo ha parlato esplicitamente di lobbismo.
Certo, oltre all'algoritmo, sarebbe stato preso in considerazione anche il merito artistico.
L'unica musicista presente nella commissione chiamata a valutarlo ha però rassegnato le dimissioni. Tutto questo in un periodo nel quale gli sponsor privati, per lo più fondazioni bancarie, stanno passando i loro guai.
La chiusura di un festival non è un fatto banale per il territorio che lo accoglie: gli eventi culturali hanno un indotto non trascurabile. Il nostro premier ci fornisce così una silloge del peggior berlusconismo: dalle promesse elettorali sull'Imu, fatte per crearsi un alibi che giustifichi il pressoché certo sforamento dei vincoli europei, al becero (e falso)" con la cultura non si mangia" di tremontiana memoria.