RETROSCENA: 90 VOTI SU 115 PER FRANCESCO (THANK YOU DOLAN!)

M.Antonietta Calabrò per il "Corriere della Sera"

Nella messa «pro ecclesia» celebrata nella Cappella Sistina alla presenza dei 114 cardinali elettori, al momento dello scambio della pace, papa Francesco abbraccia affettuoso il cardinale Giovanni Battista Re, che in Conclave ha fatto le veci di decano, e il segretario di Stato Tarcisio Bertone.

È il fermo-immagine di come sono andate le cose durante le votazioni ventiquattrore prima, sempre sotto la volta del Giudizio Universale, dipinta da Michelangelo.
Alla quinta votazione, rapidamente, si è arrivati a oltre 90 consensi su un collegio di 115 cardinali. Il cardinale elettore irlandese Sean Brady l'ha detto chiaramente: «Sono rimasto sorpreso che il consenso tra i cardinali sia stato raggiunto così presto». Così presto e così massicciamente.

Comunque, ben oltre la soglia dei 77 voti fissati dalla riforma di papa Benedetto XVI per dare maggiore coesione e unità alla scelta del Pontefice (corrispondente ai due terzi degli elettori). Soglia superata la quale è scattato l'applauso per il nuovo Papa.
È andata così. E la Chiesa e il mondo hanno avuto il loro papa Francesco, che dalle Americhe ripercorrerà al contrario le rotte della prima evangelizzazione del Nuovo Mondo. Questo almeno raccontano le voci di dentro e non solo, il giorno dopo il Conclave più social e condiviso che la storia ricordi.

Ma con quali accordi e schieramenti e pacchetti di voti di Grandi Elettori si è raggiunta la scelta del cardinal Bergoglio? Sinteticamente e, necessariamente, un po' brutalmente, il nuovo Papa è il frutto di un accordo tra il Decano del Sacro Collegio, anche se non elettore, cardinal Angelo Sodano, il cardinale Giovan Battista Re, la Curia dell'attuale segretario di Stato, Tarcisio Bertone (che aveva puntato su Odilo Scherer ma che dopo le critiche di Scherer al cardinale Re nelle Congregazioni generali ha dovuto «ritirare» il suo candidato), e cardinali statunitensi.

Il timbro degli americani sull'elezione, che ottengono un Papa delle Americhe, l'ha messo subito, due ore dopo l'apparizione del nuovo Papa dalla Loggia delle Benedizioni, il cardinale di New York Timothy Dolan. «Siamo stati molto felici del risultato. Sono emozioni molto grandi», ha detto, e in un comunicato ufficiale ha parlato di «pietra miliare per la nostra chiesa».

Italiani uniti solo nell'escludere il cardinale di Milano Angelo Scola (persino i cardinali lombardi gli hanno votato contro). Un ruolo di tessitore nei giorni scorsi l'ha svolto nelle Congregazioni generali il cardinale non elettore, Raffaele Martino, che per 15 anni è stato il rappresentante Vaticano all'Onu, conosce benissimo l'episcopato americano e come ex presidente del Pontificio Consilio Justitia et Pax è sempre stato molto presente su tutte le questioni sociali più calde. Oppositore di Ratzinger e a favore di Bergoglio già nel Conclave del 2005.

Ma per la teologia cattolica non è lo Spirito Santo che sceglie il Papa? Una volta, molti anni fa, lo chiesero all'allora cardinale Ratzinger, che di mestiere faceva il Prefetto per la dottrina della fede ed era il Guardiano dell'ortodossia. Non rinunciando nel finale a una certa ironia, rispose così: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo (...), il suo ruolo dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico (...), probabilmente l'unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata».
È la stessa ironia di papa Francesco. Ai cardinali, dopo l'accettazione, ha detto: «Cari fratelli, che Dio vi perdoni».

3 - IL DISCORSO DELLA SVOLTA «LA VANITÀ DEL POTERE È PECCATO PER LA CHIESA»
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"

«La vanità del potere è un peccato per la Chiesa». Chi c'era, racconta ancora emozionato l'intervento del cardinal Bergoglio alle Congregazioni generali, sabato scorso. Nessuno lo dava per favorito. Né fuori, né dentro il Vaticano. Eppure è bastato che prendesse la parola, una volta sola, a dispetto dei fiumi di parole spesi da altri, perché su di lui si catalizzasse la commossa attenzione dei presenti, che mercoledì si sarebbe trasformata nel voto plebiscitario finale.

Ma come ha fatto? Quali argomenti ha usato? Quali parole? Dal segreto imposto ai cardinali filtra l'eco di quell'esortazione che ha lasciato il segno. Tutta improntata a riportare la Chiesa alla semplicità del messaggio evangelico. «La Chiesa deve camminare con la gente e prendere il passo del povero», ha ricordato il cardinale che viene, come ha detto lui, «quasi dalla fine del mondo», ma non intende dimenticare i suoi compagni di strada: gli ultimi.

«Non è pensabile avere un pastore a monte e un gregge a valle», ha ribadito Bergoglio, citando una frase pronunciata da un cardinale africano e facendo vibrare di emozione la gran parte dei cardinali venuti dal Sud del mondo. Là dove la Chiesa è viva, popolosa, vicina ai problemi della gente, soprattutto la miseria, e stanca di essere governata da un Nord egoista.

Un discorso ricco di accenni alla necessità di fare pulizia all'interno della Chiesa. Tutti insieme. Un richiamo alla collegialità che ha voluto esprimere da subito, anche nel discorso-manifesto pronunciato appena eletto «Papa»: una parola che non ha mai pronunciato. Preferendo definirsi il «vescovo di Roma». Nessuna «vanità del potere», ma una chiamata di responsabilità che ha esteso a tutto il popolo della Chiesa.

Parole facili e chiare. Pronunciate con quel suo tono dolce, ma fermo. Lo stesso che ha subito conquistato piazza San Pietro, convincendo fedeli, turisti e semplici curiosi a tacere, in preghiera. Eccolo l'altro punto del suo discorso alle Congregazioni. «Occorre passare da una Chiesa regolatrice della fede a una Chiesa che facilita e trasmette la fede», aveva ricordato l'arcivescovo di Buenos Aires, invitando i porporati ad una svolta autentica. Quella che ha voluto rendere ancora più evidente prendendo il nome di Francesco: il santo che restaurò la Chiesa in rovina.

 

 

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