Massimo Gaggi per "Il Corriere della Sera"
Visto che non è riuscita a provare il suo personale coinvolgimento in un reato finanziario di rilevanza penale, la Sec, l'autorità di sorveglianza dei mercati azionari americani, tenta ora di «mandare in esilio» Steven Cohen, lo spregiudicato giocoliere degli hedge fund divenuto il re di questa industria degli investimenti ad alto rischio e alta redditività.
Steven CohenL'altra sera a Cohen, al quale la rivista «Forbes» attribuisce un patrimonio personale di 8,3 miliardi di dollari, è stata notificata un'azione civile a suo carico: un processo amministrativo nel quale si cerca di dimostrare che Cohen, pur non avendo commesso delitti in prima persona, non ha esercitato il suo potere-dovere di vigilanza sui suoi dipendenti che quei crimini, invece, li hanno commessi. Se questa responsabilità verrà accertata, il finanziere rischia sanzioni pesanti, compresa la messa al bando a vita dal mondo della finanza che l'ha reso ricco.
STEVEN COHENGli esperti di normative del mercato sottolineano che lo strumento usato dalla Sec per provare a incastrare Cohen è uno dei più deboli, tra quelli a disposizione. Ma la notizia è proprio che, pur non avendo molto tra le mani, la Securities and Exchange Commission - che dall'aprile scorso è guidata della coriacea Mary Jo White, succeduta a Mary Schapiro - ha deciso di procedere contro un finanziere che ormai si sentiva al sicuro.
Cohen, tra l'altro, aveva patteggiato appena 4 mesi fa un altro procedimento penale per insider trading nel quale quattro suoi dipendenti sono stati dichiarati colpevoli di vari crimini finanziari. Sac, il fondo di Cohen - un'organizzazione con mille dipendenti che gestisce un portafoglio di 14 miliardi di dollari - aveva accettato di pagare una maxi multa di 616 milioni di dollari e con questo il finanziere pensava di essere uscito dal mirino degli inquirenti.
STEVEN COHENMa non è stato così: gli investigatori, che già da dieci anni cercano di cogliere in fallo Cohen, hanno confermato ieri che le indagini continuano, anche a livello penale. A parte il caso delle speculazioni sui titoli di alcune società farmaceutiche sulle quali gli uomini di Cohen avevano ottenuto informazioni in modo illegale, quello patteggiato, l'Fbi sta indagando su altre vicende poco chiare che coinvolgono l'hedge fund di questo finanziere newyorchese, di famiglia ebraica e figlio di un industriale dell'abbigliamento del «garment district» di Manhattan, che, come racconta lui stesso, a scuola ha imparato a diventare un grande giocatore di poker («Mi ha insegnato a gestire i vari gradi di rischio»).
Secondo voci raccolte dal «New York Times» e da altri siti d'informazione nella procura distrettuale di New York, entro l'estate potrebbe arrivare un'altra incriminazione non per Cohen in prima persona, ma per altri suoi broker o, forse, per l'intero fondo Sac.
Gli inquirenti non vogliono compiere passi falsi, ma non vogliono nemmeno farla passare liscia a un acrobata della finanza che, sono convinti, non poteva non sapere che le informazioni portate dai suoi operatori - e sulle quali Sac Capital ha speculato con grande profitto - erano di provenienza assai sospetta.
È la prima volta, dall'inizio della crisi finanziaria, nel 2008, che gli inquirenti attaccano con tanta determinazione uno dei grandi protagonisti del mercato mobiliare. E il tirare in ballo anche una responsabilità indiretta (una sorta di «non poteva non sapere»), se si diffonderà, potrebbe cambiare la stessa cultura degli affari (oggi piuttosto disinvolta) di Wall Street.