SCASSA DEPOSITI E PRESTITI – MA CHE COSA VUOL FARE VERAMENTE IL GOVERNO DELLA CDP? FACILE: LA BANCA DI RENZI – GUERRA VUOLE CHE INVESTA I SOLDI IN MODO PIÙ “DINAMICO” – MA I SOLDI SONO DEI RISPARMIATORI POSSONO FINIRE A RISCHIO?
Giovanni Pons per "la Repubblica"
alberica brivio sforza, claudio costamagna
Nella mente di chi l’ha concepito, il cambio anticipato ai vertici della Cassa Depositi e Prestiti, doveva essere un blitz. Un’operazione che si sarebbe dovuta chiudere in un paio di giorni. Invece dai primi annunci sui giornali della fine di maggio è passato più di un mese e l’insediamento alla presidenza di Claudio Costamagna e di Fabio Gallia alla guida operativa sarà formalizzato solo con l’assemblea del 10 di luglio.
Nel frattempo i giornali hanno cominciato a discutere su quale debba essere la nuova missione della Cdp un tema che sinora (la Cassa esiste dal 1850) non era mai stato sollevato con tanta determinazione - le Fondazioni azioniste ne hanno approfittato per ottenere rassicurazioni sul rendimento del loro investimento, cioè più soldi, e quella vecchia volpe francese di Vincent Bollorè ha portato a termine il suo primo affondo su Telecom Italia, comprando in silenzio azioni sul mercato e facendo salire Vivendi al 14,9%.
franco bassanini pier carlo padoan
Dunque se il fattore tempo ha un valore, sia che si parli di politica che di economia - e il premier Matteo Renzi ha dimostrato in più di un’occasione di saperlo sfruttare al meglio - nel caso della Cdp i fatti non hanno seguito gli intendimenti e dunque anche il risultato finale potrebbe raggiungere mete diverse. Tuttavia per capire meglio ciò che è successo, e sta ancora succedendo, occorre partire dalle parole che Andrea Guerra, forse il più ascoltato consigliere economico del premier, ha pronunciato giovedì scorso a un convegno su “Liquidazione dell’Iri: fu vera gloria?”.
Dalle sue parole è emerso chiaramente che l’entourage governativo considera l’operato degli attuali vertici della Cdp, il presidente Franco Bassanini e l’ad Giovanni Gorno Tempini, più che soddisfacente, ma nello stesso tempo non li ritengono più adeguati per gestire quel colpo d’ala oggi necessario affinché la Cassa possa dare la spinta alla crescita dell’economia che Renzi auspica.
In sostanza si riconosce che Bassanini e Gorno hanno dato alla Cassa una forma e un rigore manageriale che prima non aveva, ma ritengono altresì che quella fase sia ormai terminata e che ora la palla deve passare a persone con più sprint, più idee, più dinamismo, insomma, capaci di ingranare quella marcia in più che Renzi sta invocando in primis per il suo governo.
Maurizio Tamagnini Giovanni Gorno Tempini
In controluce, però, si legge anche una critica di carattere industriale alla passata gestione. «I tassi sono calati, per cui quella remunerazione che si aveva sul semplice tasso non funziona più. E’ importante riuscire a far sì che tutte le diverse attività della Cassa abbiano più dinamismo e incisività » , ha detto Guerra. Dunque poiché i tassi sono calanti già da diversi anni e anzi proprio all’inizio di quest’anno sono scesi a zero, ciò che si rimprovera implicitamente all’attuale gestione è di non aver operato per tempo, o troppo lentamente, per trovare altri sbocchi alla redditività di quei circa 250 miliardi di raccolta presso gli sportelli postali che la Cdp presta al Tesoro in cambio di un tasso di interesse calante.
In sostanza la forbice tra lo 0,6% riconosciuto alle Poste più la remunerazione per l’investitore e il rendimento del conto di tesoreria si è chiusa e la prossima semestrale lo renderà evidente. Secondo Guerra, bisognava prevedere per tempo questa situazione e contrastarla mettendo in campo molti più “fondi” in grado di controbilanciare quella redditività della Cassa che si andava sciogliendo.
L’analisi è attraente ma anche un po’ grossolana, forse perché fatta dall’esterno e tenendo in scarsa considerazione quelli che sono i molteplici vincoli cui si deve sottoporre la Cdp nella sua operatvità quotidiana. La Cassa, pur avendo un azionista pubblico all’82% deve comportarsi come un operatore di mercato, non è una banca ma deve sottostare a una vigilanza speciale di Bankitalia, data la sua importanza nelle operazioni di rifinanziamento come per esempio gli Ltro.
Ha un conto economico composto da margine di interesse, dividendi e operazioni straordinarie e negli ultimi cinque anni ha registrato una redditività molto elevata, staccando lauti dividendi per il Tesoro. La ricchezza non distribuita l’ha messa a patrimonio, salito da 13 a 19 miliardi in cinque anni. Dunque se da una parte appare assolutamente necessario mantenere un’elevata profittabilità della Cdp non può sfuggire che il contesto in cui opera è assai complesso.
«Non è come far stanghette per gli occhiali», si è sentito dire dalle parti di Via Goito. E per amor di cronaca Gorno Tempini aveva già ampiamente esposto al cda già dall’anno scorso la tendenza decrescente del margine di interesse e predisposto un piano per farvi fronte. Il portafoglio di titoli di Stato è infatti passato da 0 a 20 miliardi, per esempio, permettendo di stabilizzare il debito pubblico in momenti difficili e creando un tesoretto di plusvalenze latenti.
Le ultime emissioni di bond Cdp sono state fatte direttamente sul mercato e al di fuori dalla rete postale iniziando un’opera di diversificazione proprio per aggirare l’onerosità del contratto con le Poste. Contratto che è stato appena rinegoziato assicurando alla società guidata da Francesco Caio 8 miliardi in cinque anni, un atout fantastico da giocarsi al momento dell’imminente privatizzazione. Ma agendo in questo modo il Mef, azionista sia di Poste che di Cdp, ha penalizzato quest’ultima.
Insomma la Cdp è un animale strano, in cui il gioco di punta e tacco alcune volte si rende indispensabile. Sempre considerando che si sta giocando con i soldi dei correntisti postali, tradizionalmente avversi al rischio. Cercare una gestione più dinamica e incisiva può essere corretto in linea di principio ma molto difficile e rischioso da realizzare.
andrea guerra matteo renzi leopolda
Un po’ come quando qualche azionista di Generali diceva che bastava aumentare dello 0,5% la redditività dei 400 miliardi di riserve tecniche per far esplodere i profitti della compagnia. La realtà è che oggi Mario Greco è tornato al più sano principio di investire le attività dove si raccolgono le passività, evitando svolazzi più rischiosi. E la profittabilità è cresciuta. Dunque si tratterà di vedere come Costamagna e Gallia riusciranno a tradurre in pratica gli input governativi. Il fondo salva imprese ideato da Guerra con la consulenza di Guido Roberto Vitale, in cui la Cdp ha garantito un investimento da un miliardo, può essere un esempio.
Ma occorre tener presente che la procedura di infrazione Ue per aiuti di Stato è una spada di Damocle non facile da aggirare, come è stato dimostrato dal caso Ilva. E che il governo rischierà di mettere la faccia su operazioni di turnaround selvaggio decise dai privati che per statuto governeranno il fondo. Oppure si potrà finalmente dare il via alla Banca della Sace, per aiutare le imprese a internazionalizzarsi, un tema che ha tenuto banco per molti mesi soprattutto per lo scontro interno che ha investito i vertici di Sace e della stessa Cdp.
Nello stesso tempo si potrebbe dare più slancio all’attività del Fondo Strategico gestito da Maurizio Tamagnini, più volte criticato per aver fatto investimenti minori e poco “strategici”. D’altronde occorre ricordare che il Fondo Strategico dalla sua nascita è riuscito ad attrarre capitali di fondi sovrani esteri per 6 miliardi, e ha realizzato importanti plusvalenze dalla vendita di alcune partecipazioni (Ansaldo Energia).
Proventi straordinari, come anche il miliardo ottenuto dai cinesi di State Grid per entrare in Cdp Reti, che sono andati a ingrassare il bilancio Cdp degli anni passati e i dividendi distribuiti al Tesoro (2,9 miliardi dal 2010 al 2014). Sicuramente si può fare di più e infatti Costamagna e Gallia hanno già incontrato Tamagnini per valutare se è la persona giusta per guidare il Fondo Strategico in maniera più dinamica, evitando così altri scossoni ai vertici. Ma la prudenza, anche in questo caso è d’obbligo. Il risparmio postale gode infatti della garanzia totale dello Stato e se per caso si perdono dei soldi a pagare in ultima istanza è ancora il taxpayer italiano.
TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA
Se la Cassa, come ha suggerito Guerra in alcune occasioni, si mettesse lei stessa a fare la famosa Bad bank su cui le autorità europee stanno frapponendo ostacoli di vario tipo, e la facesse meglio di società specializzate private, potrebbe ottenere rendimenti altisonanti e migliorare per questa via la profittabilità. Ma vorrebbe anche dire che la Cassa con i risparmi dei privati va ad accollarsi i portafogli di prestiti incagliati delle banche, salvando in qualche modo i banchieri. Si può far tutto ma la materia che si maneggia è incandescente.
Come lo è il possibile ingresso di Cdp in Telecom per “convincerla” a sviluppare la rete di nuova generazione insieme allo Stato. «La Cdc francese è in Orange e la Kfw in Deutsche Telekom», ha detto Guerra, perché non va bene la Cdp in Telecom? E’ vero e forse il blitz bisognava farlo sei mesi fa acquistando quel 7-8% che era in uscita dal nocciolo di istituzioni italiane e battendo sul tempo Vivendi. Ma Bassanini e Gorno si sono sempre opposti perché temevano un eccessivo dispendio di denaro e le critiche di una nazionalizzazione di ritorno.
Incuranti di ciò Costamagna e Gallia potrebbero comprare sul mercato un 8-10% di azioni Telecom a prezzi abbastanza elevati e spingere per un Piano per la banda larga frutto di una collaborazione pubblico-privato. Il dinamismo della futura Cdp si potrà misurare già da questa prima scelta.