GLI SCHELETRI DEL DUCETTO SULLE BANCHE: DAL MISTERIOSO AUMENTO DEL 60% DEL TITOLO DELL’ETRURIA, ALLA VIGILIA DEL DECRETO SULLE POPOLARI, ALLE MODIFICHE DEL BAIL IN – PER NON PARLARE DELL’ATTIVISMO DI RENZI CON JP MORGAN PER IL MONTESPASCHI – IL SOGNO DI MATTEO: CON VISCO AZZOPPATO, TUTTO DIMENTICATO. UN SOGNO, APPUNTO…
Maurizio Belpietro per la Verità
Ci sono molte buone ragioni che avrebbero dovuto consigliare a Matteo Renzi di stare alla larga dal tema delle banche, evitando di far presentare al Pd mozioni per far fuori Ignazio Visco. La prima di queste risale al periodo immediatamente successivo al suo arrivo a Palazzo Chigi, quando appena divenuto presidente del Consiglio incontrò il governatore della Banca d' Italia. Era la prima volta che il capo del governo si trovava faccia a faccia con il numero uno di via Nazionale. Tema dell' incontro, che dunque risale al 2014, cioè a quando ancora nessuno conosceva la voragine che stava per inghiottire Banca Etruria e migliaia di risparmiatori, la situazione economica complessiva dell' Italia.
Tuttavia, nonostante all' ordine del giorno ci fossero le politiche di bilancio, il Pil e la disoccupazione, a un certo punto il premier trovò il tempo per porre domande sulla Popolare di Arezzo. Renzi cercava informazioni sull' istituto di cui era vicepresidente il papà del suo ministro Maria Elena Boschi. Per quale motivo e sulla base di quali interessi il capo del governo volesse conoscere le condizioni dell' istituto di credito toscano non è noto.
E dire che in quel momento altre banche avrebbero dovuto attirare il suo interesse, dato che a Siena il Monte dei Paschi stava cercando con difficoltà di reperire sul mercato 5 miliardi per rafforzare il patrimonio. Eppure no, Renzi non sembrava granché interessato alle sorti del quarto gruppo bancario italiano, ma piuttosto a quelle della Popolare, cioè di un istituto medio piccolo. Nessuno a oggi gli ha chiesto spiegazioni di quel curioso e anticipato interesse, ma certo se la commissione d' inchiesta sulle banche fosse una cosa seria e non una presa in giro dei risparmiatori lo farebbe.
Dell' elenco di domande che i commissari potrebbero rivolgere all' ex premier dovrebbe di rigore far parte anche quella che riguarda l' inserimento di Etruria tra le dieci Popolari da trasformare in società per azioni. Come è noto, all' improvviso, mentre nell' istituto di Arezzo era in corso l' ispezione della vigilanza che accertò la dissipazione di gran parte del patrimonio, il governo mise a punto un decreto per cancellare il sistema di governance su cui per decenni si erano rette le Popolari.
Il provvedimento avrebbe dovuto riguardare le banche più importanti, ma alla fine venne inserita anche Etruria. Nessuno si aspettava questa mossa e infatti in molti furono sorpresi e si chiesero le ragioni della scelta. Lo stupore non riguardò quegli speculatori che sull' ascesa del titolo della banche guadagnarono milioni. Già, perché mentre la Banca d' Italia passava al setaccio i conti dell' istituto toscano e il governo lo obbligava a trasformarsi in società per azioni, una manina comprava facendo salire le quotazioni del titolo, che in pochi giorni guadagnò oltre il 60 per cento. Perché Renzi volle mettere anche Etruria fra le banche da trasformare in Spa? Chi sapeva del progetto?
MANIFESTAZIONE RISPARMIATORI TRUFFATI
Come poi andò a finire l' idea di fare della Popolare aretina una società per azioni si sa. Di lì a 15 giorni la banca venne commissariata e i suoi vertici rimossi e tra questi naturalmente anche il papà dell' allora ministro delle riforme. Com' è possibile che a Palazzo Chigi la mano sinistra che scriveva il decreto sulle Popolari non sapesse che cosa faceva la mano destra che commissariava Etruria?
C' è un' altra buona ragione che dovrebbe suggerire a Renzi di non aprire bocca sui pasticci bancari degli ultimi anni e in questo caso c' è di mezzo il decreto con cui nel settembre del 2015 fu recepita la norma europea del bail in. L' Italia fu tra le prime a tradurre in legge la direttiva di Bruxelles, e a seguire l' iter della conversione fu il ministro con delega ai rapporti con il Parlamento, ossia Maria Elena Boschi. Una scelta discutibile quella di lasciare tra le mani della figlia dell' ex vicepresidente di Etruria la patata bollente dei fallimenti bancari? Forse.
Ma la decisione più inopportuna fu la modifica alle disposizioni comunitarie, con l' introduzione di un comma che toglieva ai risparmiatori il diritto di procedere contro i vertici degli istituti falliti, attribuendolo alla Banca d' Italia. Nessuno seppe spiegare le ragioni di quella strana scelta. O meglio: nessuno le spiegò, ma tutti capirono.
boschi ghizzoni etruria de bortoli
Naturalmente, tra le ragioni che dovrebbero imporre a Renzi di astenersi da commenti sui crac bancari, c' è anche la faccenda delle pressioni esercitate da Maria Elena Boschi sull' amministratore delegato di Unicredit. Denunciati da Ferruccio de Bortoli nel suo libro, gli interventi furono smentiti dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio ma mai da Federico Ghizzoni, il numero uno della banca. Non solo: da quel che risulta la querela annunciata dalla zarina di Palazzo Chigi nei confronti dell' ex direttore del Corriere della Sera non è mai arrivata. Dunque, prima di aprire bocca su altro, forse Renzi farebbe bene a spiegare come andarono le cose, chiarendo una volta per tutte il ruolo del suo governo nel crac dell' istituto toscano.
Non è però solo da Etruria e dai risparmiatori di quella banca che Renzi dovrebbe tenersi alla larga, ma anche da Mps. Già, perché se nei primi mesi del 2014 l' allora presidente del Consiglio andava chiedendo informazioni sulla Popolare di Arezzo disinteressandosi del Monte dei Paschi di Siena, poi le cose cambiarono. Tanto da spingerlo a dichiarare, nel gennaio del 2016, durante una puntata di Porta a porta, che la banca non solo era risanata, ma anche un buon affare.
Tempo sei mesi e il Monte si ritrovò alla canna del gas. Nonostante la situazione fosse allarmante, Renzi fece cacciare da Pier Carlo Padoan l' allora amministratore delegato Fabrizio Viola, preferendogli un manager che avesse lavorato con Jp Morgan, la banca che oltre a sponsorizzare il referendum costituzionale era consulente di Palazzo Chigi. Come le cose sono andate a finire è noto: per evitare il crac e porre rimedio ai ritardi di Renzi, il governo successivo ha dovuto mettere mano al portafogli entrando direttamente nel capitale di Mps.
A dire il vero ci sarebbero anche altri motivi sufficienti a tappare la bocca al segretario del Pd sul tema delle banche, ma per non farla troppo lunga diciamo che questi bastano e avanzano. Se c' è qualcuno che, oltre ai responsabili materiali dei crac, deve spiegare e soprattutto pagare gli errori compiuti con le banche, questo è proprio Renzi. Ma l' ex presidente del Consiglio spera che, facendo fuori Visco, si dimentichino o perdonino le sue colpe. Difficile, se non impossibile.