SE ANCHE I GIORNALONI SI SVEGLIANO – IL RISULTATO DELLE ELEZIONI APRE UNA CREPA TRA IL PREMIER SPACCONE E I SUOI GIORNALI DI RIFERIMENTO: EZIO MAURO GLI DICE DI CURARE MEGLIO IL PARTITO E GRAMELLINI GLI RINFACCIA CANDIDATURE SBAGLIATE

Antonio Signorini per “il Giornale

 

ezio mauroezio mauro

«Ce n'è abbastanza per ballare politicamente, altro che fotografarsi davanti alla Playstation dopo la lettura dei risultati per trasmettere agli elettori un segnale di tranquillità da oratorio». Se il giudizio su Matteo Renzi fosse di Stefano Fassina o Miguel Gotor, esponenti della minoranza Pd oppure di un esponente di Forza italia, gli esperti di comunicazione di Palazzo Chigi potrebbero archiviarlo tra le critiche che cambiano poco. Se non sotto la voce, attacchi che rafforzano il brand del rottamatore. 


Ma la firma è quella di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, quotidiano di riferimento della sinistra e dei ceti che votano Pd. Nella prima pagina di ieri dedicata alle elezioni Regionali c'erano nell'ordine, oltre al fondo di Mauro, un editoriale di Filippo Ceccarelli intitolato «La playstation della monarchia» e il richiamo a un'intervista di una pagina intera a Massimo Cacciari intitolata: «Il modello Renzi è un partito gassoso ridotto a pura corrente d'opinione». 

filippo ceccarelli e gloria sattafilippo ceccarelli e gloria satta


Il tono di Repubblica ieri era quello dei commenti domenicali di Eugenio Scalfari. La tesi di Mauro - vista la «crepa aperta tra il Pd, Renzi e la pubblica opinione» - è che il premier, dopo il successo del Quirinale, avrebbe fatto meglio a cercare un «patto interno al partito», per fare le riforme. Invece «in questi mesi ha diffidato più della sua sinistra interna che della destra berlusconiana, dimenticando che quella è una cultura e una classe dirigente fondatrice del Pd, dunque indispensabile alla sua storia, alle sue ragioni e al suo futuro».

 

massimo gramellinimassimo gramellini

Musica per le orecchie di Pier Luigi Bersani, unghie sulla lavagna per il presidente del Consiglio. Se dovesse dare retta a Mauro e puntare a sinistra, rendendo omaggio al vecchio Pd, distruggerebbe il suo marchio di fabbrica. Dovrebbe rinunciare alle sue riforme, a partire dal quella della scuola, e aprire una serie di tavoli dentro il Pd. Una restaurazione, insomma. 


Il fatto stesso che Repubblica ne parli è un segnale. Si potrebbe obiettare che ieri il quotidiano ha dato voce alla vecchia sinistra che aspetta la fine della luna di miele tra il premier e i suoi elettori per sferrare colpi. Ma ieri anche La Stampa, quotidiano non sospetto di antipatie verso Renzi, ospitava in prima pagina una analisi impietosa. Il «Buongiorno», rubrica molto letta di Massimo Gramellini, era tutto dedicato a «IncoeRenzi», che ha tradito le sua missione presentando candidati sbagliati alle elezioni regionali. «Anziché un Renzi o una Boschi, i liguri si sono ritrovati Raffaella Paita, il prolungamento scolorito del governatore uscente». E i veneti «la debolissima Moretti». 

LUCA RICOLFILUCA RICOLFI


La stella del rottamatore, insomma, non brilla più nemmeno nei media amici. Ma nello stesso piatto della bilancia ieri c'era anche il Sole24ore con un'analisi di Luca Ricolfi, voce un tempo molto ascoltata da Renzi. Commento più attento alla sostanza delle policy che alla politics piddina.

 

I segnali che il sociologo vede dentro il voto sono che «il tema della criminalità e dell'immigrazione sta tornando al centro del discorso politico e su questo la sinistra appare, come sempre, del tutto incapace di articolare una risposta che non si riduca alla solita raffica di luoghi comuni».

 

renzi in afghanistan con la mimeticarenzi in afghanistan con la mimetica

Tradotto, il rottamatore non ha cancellato uno dei peggiori vizi della vecchia sinistra. Secondo segnale, sui temi economici il dibattito politico sta «prendendo una piega non rassicurante per il governo». All'elettore medio «le parole alate della politica sul sogno europeo, sui nuovi assetti istituzionali, sulle immense risorse morali del paese, appaiono un tantino prive di concretezza». Un colpo mortale alla dialettica renziana e anche un altro invito a fare dei cambiamenti che Renzi non può permettersi.


 

 

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