FIDEL CASTRO E LA BANDIERA USA
Omero Ciai per “la Repubblica”
Non cita mai Raúl per nome. Lo chiama «il presidente» che ha fatto «i passi pertinenti d’accordo alle sue prerogative». Ma precisa: «Non mi fido degli Stati Uniti e non parlo con loro». La lettera di Fidel Castro, letta l’altra sera a Cuba in tv durante il tg, ha sorpreso tutti.
A occhio sembra la massima apertura che l’ex leader possa concedere alle iniziative di riavvicinamento allo storico nemico americano promosse dal fratello Raúl. Ma un’altra lettura sostiene invece che si tratta in realtà dell’espressione del suo dissenso. E, anche in questo caso, molto più in là non può andare perché, sempre nella lettera, Castro ammette di non avere più — dal 2008 e per ragioni legate all’età e alle condizioni di salute — alcun potere reale.
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La seconda lettura è l’interpretazione di Yoani Sanchez, la famosa blogger dissidente, che nella notte ha lanciato l’hashtag #DesmienteElHermano (smentisce il fratello) pensando probabilmente all’intervista concessa da Mariela Castro alla Cnn nei giorni della svolta, a metà dicembre, e nella quale la figlia di Raúl sosteneva che lo zio — Fidel — era «molto contento» di quello che stava succedendo.
È difficile che sapremo prima o poi quale delle due interpretazioni è quella giusta. In effetti la lettera di Fidel Castro si può leggere in ogni modo e sembra una sorta di testamento dove egli difende la sua storia e al tempo stesso si smarca.
Apparentemente approva, ma afferma anche di non avere alcuna responsabilità nei progetti di Raúl, come a dire: «Andate pure avanti se lo ritenete giusto, ma se le cose vanno male io non c’entro niente».
L’ex líder maxímo della rivoluzione cubana, 88 anni compiuti lo scorso 13 agosto, non appare in pubblico esattamente da un anno, era il gennaio 2014. Dopo Natale si era sparsa la voce, l’ennesima, che fosse morto soprattutto perché non aveva ricevuto nessuno dei “Cuban Five”, le famose spie cubane rilasciati dagli Stati Uniti, che erano stati la sua ultima grande battaglia antiamericana.
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Altre voci sostenevano che era «molto arrabbiato» con Raúl e che, secondo la versione della Casa Bianca, era stato informato della svolta nelle relazioni con Washington soltanto a cose fatte, all’ultimo momento. Poi aveva scritto una lettera a Maradona, arrivato sull’isola per registrare un programma televisivo. Ora, approfittando di un anniversario, il suo ingresso all’Università nel 1945, quest’ultima lettera. La maggior parte degli osservatori esclude che le sue parole possano avere effetti negativi sulla leadership del fratello.
Anzi, sono destinate a rafforzare il sostegno popolare alla pace americana. Il primo commento di Washington è favorevole. «Sono un segno positivo», ha detto la portavoce del Dipartimento di Stato Jennifer Psaki. Fidel è fuorigioco, questa resta la sensazione più evidente. Come fuorigioco sono tutti i suoi collaboratori allontanati e sostituiti da Raul a partire dal 2008.
Ma forse il segno più palese che molte cose sono cambiate è la notizia, diffusa sottovoce in questi giorni, che Alina, la figlia ribelle di Fidel, fuggita negli anni Novanta, sarebbe tornata sull’isola per assistere la madre Naty Fernandez, l’amante più nota dell’ex leader.