Gian Micalessin per “il Giornale”
l omicidio dell ambasciatore russo ad ankara
Vladimir Putin non lo dice apertamente, ma ha idee assai precise sui mandanti dell'uccisione dell' ambasciatore ad Ankara Andrey Karlov. E sulle ragioni di quella plateale esecuzione. «È stata senza dubbio una provocazione rivolta a far fallire la normalizzazione delle relazioni russo-turche e a far deragliare il processo di pace portato avanti da Russia, Turchia, Iran e altri» ripete da lunedì sera il presidente russo che nel frattempo ha ordinato a Sergei Naryshkin e Alexander Bortnikov, i capi dell' intelligence esterna e interna, di scoprire «chi ha diretto le mani del killer» e innalzare il «livello della lotta al terrorismo» facendo sentire «ai banditi che questo sta avvenendo».
l omicidio dell ambasciatore russo ad ankara
In quelle tre frasi sono condensate convinzioni e intenzioni del presidente. La prima è che Mevlüt Mert Altintas, il 22enne poliziotto di Ankara autore dell' omicidio, non sia solo un invasato fondamentalista, ma anche una pedina manovrata da quei settori dell' intelligence turca interessati a far naufragare il progetto di «pax siriana» garantito da Mosca, Ankara e Teheran.
Un progetto destinato a prender il via proprio ieri a Mosca durante i colloqui trilaterali tra il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, quello turco Mevlüt Çavusoglu e l'omologo iraniano Mohammad Javad Zarif. Colloqui in cui Çavusoglu ha parlato, per la prima volta, di «soluzione politica», accettando l'idea di un negoziato con Damasco e archiviando le posizioni di una Turchia da sempre in piena sintonia con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Qatar nel chiedere l'allontanamento di Bashar Assad.
Proprio questa retromarcia, per un Putin abituato a ragionare da ex del Kgb, avrebbe spinto qualcuno a utilizzare la pedina Altintas. Un qualcuno da cercare all' interno della «nuova leva» di alti ufficiali d'ispirazione islamista inseriti ai vertici del Mit (Millî stihbarat Tekilat, Organizzazione nazionale dell' intelligence) dopo la ristrutturazione segnata, nel 2009, dall'allontanamento della vecchia guardia kemalista e la nomina a capo dei servizi segreti del fedelissimo Hakan Fidan.
Che è considerato il demiurgo di tutte le inconfessabili alleanze con Jabat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida, e con quello Stato Islamico a cui il Mit di Fidan ha garantito rifornimenti di armi e munizioni, libero transito in Turchia e appoggi per la commercializzazione del petrolio.
Ora però il Cremlino vuole capire se Hakan Fidan, l'uomo a cui Erdogan affidò la propria salvezza nella notte del golpe, sia ancora così vicino al presidente turco. Nei sospetti di Putin la pax siriana guidata da Mosca e contrassegnata dalla sofferta scelta turca di abbandonare al proprio destino i ribelli jihadisti di Aleppo Est avrebbe innescato uno scontro tra la presidenza e quei settori «islamizzati» dell' intelligence decisi a far naufragare l'inedita entente cordiale con Mosca e Teheran.
Quindi Putin potrebbe rispondere all'uccisione dell' ambasciatore mantenendo intatti i rapporti politici con un Erdogan, trasformato obtorto collo da nemico in alleato, ma lanciando nel frattempo una spietata guerra sotterranea contro quei settori dei servizi segreti di Ankara che osteggiano i suoi piani. Settori a cui allude quando parla di «quanti hanno armato le mani del killer».
Dunque mentre l' uscita di scena di Obama e l' investitura di Donald Trump potrebbero favorire un' inattesa pax siriana garantita da accordi tra Ankara, Mosca e Teheran l' uccisione dell' ambasciatore Karlov rischia di aprire un' inedita guerra intestina sul fronte turco. Una guerra da cui lo stesso Erdogan rischia di venir travolto.