Concetto Vecchio per “il Venerdì di Repubblica”
CALENDA IN COSTUME APPENA USCITO DAL LAGHETTO DI MONTAGNA
Quando telefoniamo a Massimo Mantellini i social sono in ebollizione per la foto postata su Twitter da Carlo Calenda in costume da bagno davanti al laghetto alpino con il cigno sullo sfondo.
«I social possono dare alla testa?», gli chiediamo. «Può capitare», ride.È un esperto della rete, autore di Bassa risoluzione (Einaudi, pp.144, euro12).
Dopo l' ultimo flop della piattaforma online M5S Rousseau sul processare o meno Salvini per la nave Diciotti, ha fatto discutere il suo blog sul Post dove sosteneva che ai Cinquestelle dell' affidabilità del loro sito in fondo importa poco.
Che cosa voleva dire?
«Che da sempre il sito web del M5S ha importanti problemi di sicurezza e di funzionalità. E il fatto che non si riesca a migliorarlo fa pensare che quella piattaforma sia prevalentemente un oggetto estetico, utile per mostrare all' opinione pubblica che loro ascoltano la base. Ma se vuoi davvero presentarti come il campione della democrazia orizzontale la tua trasparenza dovrebbe essere totale, l' aspetto tecnologico riveste la massima importanza».
Non è sorprendente per un partito che è nato nella rete?
«Ma era già così ai tempi del blog di Grillo. Non c' era vera interazione nemmeno allora. Grillo, per esempio, non ha mai risposto a un commento».
rousseau voto sul processo a salvini 4
E quindi la retorica che li ha accompagnati fin qui è immeritata?
«Non del tutto. Però Casaleggio continua a teorizzare idee - uno vale uno, la democrazia elettronica, l' inutilità del giornalismo - nate con internet ma che in America sono tramontate già alla fine degli anni Novanta. Se sopravvivono qui da noi è perché la nostra cultura digitale rimane modesta».
La profezia di Grillo e Casaleggio sul declino del giornalista però non si è avverata.
«Sì, si è polverizzata la mediazione. Non solo sono precipitate le vendite dei giornali, ma anche i siti di informazione tra il 2006 e il 2016 sono cresciuti appena del 4 per cento. La gente s' informa soprattutto su Facebook: ogni giorno in Italia ci sono 30 milioni di profili aperti».
Delle votazioni online su Rousseau ci si può fidare?
«No, almeno fino a quando non accetteranno reali certificazioni esterne».
Quindi non possiamo sapere se gli esiti delle votazioni corrispondano ai dati reali?
«Purtroppo è così».
Ma le votazioni online le fanno anche altri partiti nel mondo?
«Che io sappia, no. Del resto è un' infrastruttura che può essere facilmente adulterata. Rousseau ha subito rimproveri sulla privacy dei dati anche dal Garante».
Perché Matteo Salvini ha così successo sui social?
«Perché ha puntato molto sulla comunicazione sentimentale. Aveva cominciato Barack Obama, quando si candidò la prima volta. Ma al massimo mostrava una sua foto su Flickr mentre giocava col cane. Oggi Salvini, ma non solo lui, ha estremizzato questo approccio di identificazione e tutto diventa macchietta e cabaret».
Cabaret?
«Sì, un teatrino grossolano per avvicinare il racconto di sé agli elettori. Anche Matteo Renzi a un certo punto fece qualcosa di analogo».
Però per Salvini sta pagando.
«Difficile dirlo. Qualcosa sta cambiando, a ben vedere. Non contano solo numeri, ma la qualità delle interazioni. Nel caso di Salvini, ma anche dei Cinquestelle, le critiche sono diventate più frequenti, più ruvide».
I social sono sopravvalutati?
«La comunicazione digitale resta un piccolo mondo. Ti dà l' illusione di una visibilità che è fallace.
Fuori, per fortuna, c' è ancora la vita reale. È quello che i politici di secondo piano, adusi a comprare i follower, non vogliono capire».
MATTEO SALVINI SELFIE A VENEZIA
Piuttosto sorprendente quello che sta dicendo...
«Quando Ivan Scalfarotto, nel 2005, si candidò alle primarie del centrosinistra, in rete ci fu un' ondata di entusiasmo. Tutti i blogger erano schierati per lui, salvo poi scoprire che aveva preso lo 0,62 per cento. E tutti a chiedersi: ma com' è stato possibile?».
Perché 40 mila italiani mettono un like alla foto delle frittelle di Salvini?
«Difficile dirlo. Forse per un meccanismo di identificazione. O forse molti amano le frittelle».
Luigi Di Maio è troppo magro per essere un buongustaio?
«In effetti Di Maio è più istituzionale nel raccontarsi. Però in genere il canone è ormai uguale per tutti, che siano politici di destra, di sinistra o Cinquestelle. E questa uniformità è deprimente. Il grillismo comunicativo ha fatto scuola.
Penso alla famosa card di Renzi accanto a Francesco Totti e la scritta: "Ci sono due capitani". Nessun politico comunica più in maniera sobria».
luigi di maio e alessandro di battista in auto 4
Calenda ha sbagliato per eccesso di narcisismo?
«Sarei indulgente. Credo che davvero volesse fare dell' autoironia, prendendo per i fondelli le pose dei sovranisti. Purtroppo ha sottovalutato gli effetti di quella foto».
Ma è un politico smaliziato, ogni giorno ingaggia colluttazioni verbali su Twitter.
«Invece penso che da un punto di vista social sia un po' ingenuo. Per esempio, rispondere sempre a tutti non è una buona idea. L' equivoco è dietro l' angolo».
Salvini e Di Maio non hanno mai postato la foto di un libro letto.
«Sarei cauto nel trarre le conclusioni. È probabile che ciò significhi il fatto che non abbiano alcuna relazione con i libri. O forse è una scelta narrativa precisa».
Perché Di Battista ha esibito il figlio in quasi ogni post?
«Forse perché cinicamente funziona. Crea identità».
Sappiamo più noi follower, di questo bimbo, che i nonni.
«È un modo per raccontare sé stessi. Come quando Salvini si fa un selfie con una birretta».
L' aura che circonda i grandi della Prima Repubblica non sarebbe stata intaccata dal sapere cosa mangiavano, come dormivano, come si divertivano?
«C' è la famosa foto di Aldo Moro in spiaggia col vestito. Ho un ruolo da rispettare, diceva. Era una scelta. Sospetto che Enrico Berlinguer non avrebbe mai postato una foto del ragù».