Pietro Veronese per “la Repubblica”
La burocrazia delle Nazioni Unite sembra congegnata in modo da dare ragione ai suoi critici più feroci. Lo testimonia il caso del diplomatico svedese Anders Kompass, importante funzionario nell’ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani. Pochi mesi fa, Kompass divulga un rapporto che denuncia gli abusi sessuali di caschi blu dell’Onu a danno di minori nella Repubblica Centrafricana. Credete voi che la potente macchina delle Nazioni Unite si sia messa a caccia dei responsabili? Niente affatto: il suo bersaglio è stato il messaggero.
Un giorno di fine aprile Kompass viene scortato fuori degli uffici dell’Alto commissariato a Ginevra; il pass gli viene ritirato; l’hard disk del suo computer viene passato al setaccio da investigatori interni; e il suo capo, il principe giordano Zeid Al Hussein, fa di tutto per ottenerne le dimissioni, che però il diplomatico rifiuta di rassegnare.
La vicenda è diventata di dominio pubblico anche grazie alla pubblicazione on line di molti documenti riservati sulla vicenda da parte della Ong Aids-Free World. Piano piano i media se ne sono impadroniti (il resoconto più esauriente sul sito della rivista americana Foreign Policy ).
E lentamente l’imbarazzo è salito fino ai piani alti del Palazzo di Vetro di New York, dov’è l’ufficio del segretario generale Ban Ki-Moon.
All’origine c’è un rapporto stilato dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani e dall’Unicef a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove è presente una missione di pace delle Nazioni Unite, la Misca, con i suoi caschi blu. L’indagine risale al maggio 2014, quando una Ong locale che lavora nei campi di sfollati della guerra civile ha denunciato gli abusi.
Razioni alimentari in cambio di sesso con i bambini. Rapporti orali, violenze omosessuali, gli orrori più vergognosi. Alcune delle vittime non hanno più di otto anni. Ne sono accusati soldati del Ciad, della Guinea Equatoriale e della Francia (quest’ultima ha un contingente, però non inquadrato nella missione Onu).
Il 15 luglio dell’anno scorso il rapporto arriva anche sul tavolo di Kompass a Ginevra. E il diplomatico constata che non succede niente. Né prima, né dopo. A Bangui il comando della missione non ha preso alcun provvedimento. Il rapporto resta riservato, inutile. Nessuno denuncia nulla.
È a questo punto che lo svedese contatta l’ambasciata di Francia a Ginevra. Poco dopo il governo di Parigi gli chiede copia del rapporto, promettendo riservatezza. Kompass inoltra il documento ai francesi e nel giro di una settimana la polizia transalpina apre un’inchiesta. Il caso diventa di dominio pubblico.
All’Alto commissariato parte la caccia al traditore. Kompass non si nasconde. Rivendica quello che ha fatto: il suo comportamento è servito almeno a far scoppiare lo scandalo. Ma il principe Zeid è di parere opposto: ai suoi occhi quel funzionario che fino al giorno prima era nelle sue grazie, serio, competente, efficiente, appassionato difensore dei diritti umani, adesso è solo l’informatore di una potenza straniera, uno che ha tradito la fiducia e lo spirito di corpo.
Kompass finisce nel mirino della security interna dell’Onu, viene convocato a riunioni accusatorie con i massimi dirigenti del personale e dei servizi disciplinari. Nel frattempo, a quanto risulta, i caschi blu responsabili degli abusi restano impuniti.