LA SPEDIZIONE AL QUIRINALE DI SPADAFORA E GIORGETTI. E SAVONA RIENTRÒ IN LISTA: LE ANTICIPAZIONI DEL LIBRO DI VESPA SU QUELLE ORE INFUOCATE IN CUI MATTARELLA AVEVA MESSO IL VETO SUL NOME DELL'ECONOMISTA AL MINISTERO DEL TESORO - DI MAIO NON VOLEVA TORNARE AL VOTO, SALVINI NON VOLEVA PERDERE LA FACCIA, E QUELL'ARTICOLO DI SAVONA SU 'MILANO FINANZA'…
Anticipazione del libro “Rivoluzione” di Bruno Vespa pubblicato da “la Repubblica”
«Paolo, sei agli Affari europei». Quello che non fu fatto in tre mesi accadde in ventiquattr' ore. Mattarella non poteva perdere la faccia, e Salvini, Di Maio e Savona nemmeno.
SERGIO MATTARELLA PAOLO SAVONA GIUSEPPE CONTE
Intanto i «dioscuri» erano molto provati. Mentre franava il tentativo di Cottarelli, il segretario della Lega e Giorgetti non sarebbero stati contrari a un governo tecnico giallo-verde, per arrivare alle elezioni in settembre e formare poi un governo politico di lunga durata. Salvini era convinto che le urne avrebbero premiato il suo partito e il nuovo governo avrebbe dovuto tenerne conto.
Di Maio, invece, temeva le incognite elettorali e chiese di formare il governo Conte, «nato per sfinimento», come mi ha detto uno degli artefici della trattativa. Giampiero Massolo perse il ministero degli Esteri perché figura tra i membri italiani della Commissione Trilaterale, lobby dei potenti della Terra da sempre criminalizzata dai 5 Stelle. Per qualche ora il candidato prescelto fu Luca Giansanti, dimessosi con gran rumore dalla Farnesina in marzo [...] La scelta sarebbe stata in effetti molto forte, perciò alla fine si optò per Enzo Moavero Milanesi.
luigi di maio vincenzo spadafora
Il torto subito E agli Affari europei? Quando Mattarella respinse il suo nome come ministro dell' Economia, Paolo Savona non diede interviste, ma il 29 maggio firmò un articolo per «Milano Finanza», il quotidiano diretto dal suo amico Paolo Panerai, con il quale aveva anche scritto un pamphlet su Guido Carli e il trattato di Maastricht.
«Ho subìto un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall' euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio comunicato» (Alle 13,20 del 27 maggio, prima che Conte rinunciasse all' incarico, Savona aveva diffuso un comunicato per smentire la sua intenzione di pilotare l' uscita dell' Italia dall' euro) [...].
Visto che lo spread minacciava di affossare il tentativo di Cottarelli, quello stesso giorno Giorgetti chiamò Savona, che si era di nuovo blindato nella sua casa in Sardegna e stava scrivendo un articolo in inglese su euro ed Europa per una rivista di Singapore: la Lega voleva trovare una soluzione che salvasse la faccia a tutti. Gli chiese, quindi, se era disposto ad andare agli Affari europei e a indicare per l' Economia una persona di sua fiducia. («Per me fu un invito a nozze» mi racconta il professore. «Io desideravo soprattutto trattare con l' Europa») [...]. E a lui vennero in mente tre nomi, di pari livello accademico e di opinioni economiche non dissimili. [...].
La carta Tria La scelta (ma certo non per esclusione) cadde su Giovanni Tria, romano, 69 anni, docente di Economia politica e preside della Facoltà di Economia all' Università romana di Tor Vergata, uno dei pochi autorevoli economisti a nutrire motivate riserve sulla gestione dell' euro, anche se non si era mai esposto come Savona. [...]. Adesso il problema era far accettare al Capo dello Stato la presenza di Savona nella squadra di governo.
Quando Giorgetti e Spadafora parlarono con i consiglieri del Quirinale dello spostamento del professore, li trovarono molto riluttanti, ma i due insistettero: Savona agli Affari europei era una posizione perfettamente difendibile, che avrebbe tratto d' impaccio sia il presidente della Repubblica sia Lega e M5S.
La scoperta in tv Poco dopo le 21 del 31 maggio, mia moglie stava guardando la tv e mi chiamò: «Vieni, Paolo. Conte sta uscendo con la lista dei ministri». «Non mi interessa» risposi, e rimasi nel mio studio. Poco dopo mi chiamò di nuovo: «Paolo, sei agli Affari europei». Restai di sale. Se rinuncio, pensai, metto in crisi il governo. Chiamai Giorgetti, che mi disse sorpreso: «Paolo, ma non ti avevano avvertito?