STAMPA SOTTO SCHIAFFO – SPARISCE IL CARCERE PER I GIORNALISTI, MA DENTRO NON CI FINIVA NESSUNO – INVECE LE NUOVE MAXI-MULTE DA 50MILA EURO PER DIFFAMAZIONE POSSONO DAVVERO INTIMIDIRE I GIORNALI – NORME CERVELLOTICHE PER LE QUERELE AI SITI INTERNET
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Siccome non conta la legge - in Italia - ma la sua applicazione, non sappiamo ancora che cosa pensare della norma sulla diffamazione che è appena passata alla Camera. Sulla carta tutto bene, ma in pratica?
L’esempio già lo fornisce la legge attuale: prevedeva il carcere peri giornalisti ma in concreto non finiva dentro nessuno, o quasi; la stessa legge già prevedeva la rettifica ma in pratica i giornalisti facevano come volevano: la medesima vecchia legge già tendeva a calcolare il danno diffamatorio sulla base della diffusione e rilevanza della testata oltreché della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica: ma tutto veniva fatto con criterio spannometrico, e ora che la prassi è messa nero su bianco non è chiaro perché il criterio dovrebbe essere meno spannometrico.
Insomma, la nuova normativa lascia un certo sapore agrodolce. Vediamo i punti principali. 1) Niente più carcere perché «ce lo chiede l'Europa», in compenso multe salatissime fino a 50mila euro: non è una battuta dire che tanti giornalisti preferirebbero la galera. Anche il cronista più bravo del mondo, se querelato, per il suo editore diventa un piccolo problema di bilancio: nei fatti, querele e cause civili sono gravi deterrenti anche perché ormai querelano tutti. Lontani i tempi in cui le querele erano tutte medaglie.
2) Obbligo di rettifica gratuita e senza replica: è stravero che i giornalisti approfittano spesso dell’ultima parola, o che magari confinano le rettifiche in francobolli invisibili; ma per il rettificante rischia di diventare un mezzo di autopromozione formidabile. Per non incorrere in seccature e in costi legali, rifiutandone la pubblicazione, si rischia di mettere in pagina anche repliche sterminate e cretine, quelle che «precisano» e in pratica non smentiscono nulla, tutto oro colato cui non poter replicare nemmeno. Nell’era delle discussioni e dei forum, in cui tutto è botta è risposta, sembra un po’ antidiluviano.
3) Il governo probabilmente farà una legge a parte perle cose internettiane: ma intanto stabilisce che, se tu quereli un sito,il processo verrà celebrato nella tua città. Pare logico, ma in pratica potrebbe significare che una piccola testata di Sassari dovrebbe pagarsi schiere di avvocati in giro per il continente. Non tutti possono permettersi grossi studi con costosi corrispondenti.
4) Arriva la lite temeraria, che in concreto significa - ottima cosa - che puoi rivalerti su un soggetto qualora ti abbia fatto una querela manifestamente infondata: cattiva musica per tutti i querelatori seriali che querelano sempre e comunque (tipo certi magistrati) perché gli costa poco e perché il saldo è comunque conveniente: anche perché molti studi legali (dei querelati) non di rado preferiscono proporre una transazione anziché affrontare i costosi tempi di giudizio.
5) Se un articolo non è firmato non è (più) detto che a risponderne in toto sia il direttore responsabile. E allora chi? Qui la norma è un po’ cervellotica: il direttore o un vice rispondono se c’è un chiaro nesso tra omesso controllo e diffamazione (ma con pena ridotta) ma in ogni caso il direttore non può essere interdetto dalla professione. Lo stesso direttore oltretutto può delegare qualcun altro a fare i controlli. Mah. Tutto da definire.
6)Non solo il giornalista professionista,ma ora anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle proprie fonti. Perché? Non si è capito bene: sarà che diventare professionisti per molti è ormai una chimera.
7) Infine la cosiddetta salva-De Gregorio, ossia l’ex direttrice de l’Unità che si è ritrovata sul gobbone un sacco di cause e di debiti. In caso di condanna, quanto pagato da un direttore o un giornalista costituirà un credito privilegiato nella conseguente azione di rivalsa nei confronti del proprietario della testata. È qualcosa. Non granché.