Paolo Boccacci e Giuseppe Scarpa per “la Repubblica”
Un ex segretario scomparso nel nulla. Forse in Sudamerica, inseguito da chissà quale ombra, droga, usura, o forse morto ammazzato, in qualche favela. Il sospetto di una tangente di più di due milioni di euro, di cui 300 mila proprio al portaborse che si è volatilizzato, pagata dai costruttori Pulcini per fare affittare dalla Regione Lazio, quando era assessore al Demanio con il governatore Marrazzo, due palazzi, un affare colossale, da 7 milioni e 327 mila euro l’anno.
E ora l’ex moglie che ai magistrati parla anche di festini a base di alcol e belle donne in una vecchia cascina a Grottaferrata, sui Castelli romani, di proprietà dell’ex faccendiere, di cui si inseguono anche le tracce di misteriosi conti a Montecarlo, dove era di casa, dove andò prima di sparire, l’8 ottobre del 2009, a recuperare una borsa piena di mazzette di banconote da 500 euro.
Il deputato del Pd Marco Di Stefano, ex lettiano passato armi e bagagli con Renzi, per il quale alla Leopolda coordinava il tavolo sulla “moneta digitale”, è nell’occhio del ciclone. Indagato per questa storia di tangenti, si è dovuto sospendere al gruppo dei Democratici di Montecitorio, dove non si fa più vedere da giorni. Ma l’ex poliziotto delle volanti non molla.
«Sono innocente» dice «quella tangente non l’ho mai presa. Parlerò quando avrò letto le carte». Proprio nelle carte del sostituto procuratore Tiziana Cugini si staglia il mistero della scomparsa del suo ex faccendiere, Alfredo Guagnelli, amante della bella vita, ex fidanzato della soubrette Francesca Fichera, un idolo, il ganster Tony Montana interpretato da Al Pacino, titolare di tante società e di un’agenzia che organizzava eventi, con un piccolo esercito di modelle. Ma non solo.
MARCO DI STEFANO E ALFREDO GUAGNELLI
Tutto comincia da una deposizione del fratello Bruno sulla sua scomparsa. Racconta degli affari di Alfredo, di quei 300 mila euro incassati dai Pulcini, di un milione e ottocentomila che avrebbe intascato Di Stefano. E così parte l’inchiesta. Che fine ha fatto Guagnelli? Perché a Montecarlo era così conosciuto che lo invitavano al Ballo della Rosa? Ed è vero quello che dice Di Stefano, che «è andato a Panama per inseguire l’affare del raddoppio del canale»? Allora perché si indaga per omicidio?
Insomma, un giallo internazionale. Che imbarazza il Partito democratico. Tanto che alla cena all’Eur con il premier gli hanno tolto all’ultimo minuto il tavolo da mille euro. Quella di Di Stefano è la storia di un politico che è stato un “ex” un po’ di tutto. Ai tempi della giunta Marrazzo era Mister Preferenze. Ne aveva conquistate 14 mila, lui, cresciuto all’Aurelio, ex missino, zona Casalotti-Boccea, che Storace ora si vanta di aver cacciato dal partito. Poi ex Dc, vicino a Baccini, consigliere comunale per il Ccd. Passa poco e rieccolo, segretario provinciale dell’Udc, con Casini. E nel 2005 il “salto” a sinistra. Diventa assessore sul campo, deleghe al Demanio, Risorse Umane e Patrimonio.
Estromesso in un rimpasto nel 2009 («ho ricevuto pizzini da esponenti di giunta per i concorsi interni» disse in preda all’ira «ma li ho rispediti al mittente”), Marrazzo, miracolo, lo riprende in giunta: assessore all’Istruzione. Ma nel frattempo era passato all’Udeur di Mastella. Però fa dietrofront e rientra nel Pd, in quota Fioroni. Nel 2010 riscala la Pisana e a preferenze arriva a quota 16 mila. Quindi tenta il balzo in parlamento nel 2013, seguace di Enrico Letta. Alle primarie però Mister Preferenze ne prende solo 2573 e precipita al sesto posto della lista.
Ed è proprio subito dopo, in un’intercettazione, che sbotta e annuncia «la guerra nucleare a partire da Zingaretti, li tiro dentro tutti. Sono dei maiali. (…) Ho fatto le primarie con gli imbrogli, no? Non è che so’ imbrogli finti…». E la minaccia: «Se imbarcamo tutti, ricominciamo dai fondi dei gruppi regionali. Sansone con tutti i filistei, casco io, ma pure gli altri». Ma in seguito ci ripensa e parla di «frasi dette in un momento di grande rabbia e sconforto».
Intanto arriva l’ultimo miracolo. Marino chiama la deputata Marta Leonori a fare l’assessore al Commercio e, come primo dei non eletti, sbarca alla Camera. Lettiano? Macché, renziano scatenato, tra i primattori della Leopolda.