TORINO DEI MISTERI - L’OMICIDIO MUSY HA UN COLPEVOLE: FRANCESCO FURCHÌ SI BECCA L’ERGASTOLO - LA DIFESA PARLA DI SENTENZA SCANDALOSA - L’AMBIENTE DELLA VITTIMA HA AIUTATO POCO LE INDAGINI
Massimo Numa per “La Stampa”
Scuote la testa, Francesco Furchì. Mormora: «E’ un’ingiustizia, sono innocente, sono innocente». Sguardo basso dopo la lettura della sentenza che lo condanna all’ergastolo, colpevole di avere ucciso l’avvocato torinese Alberto Musy, sposato e padre di quattro bambine. Ma un istante prima, gli occhi si erano incrociati con quelli del presidente dell’Assise, Pietro Cappello, intento a leggere le due pagine in cui, oltre alla condanna, vengono decisi i risarcimenti per la vedova, le figlie, le parti civili. Poco più di un milione e 200 mila euro. La sorella di Furchì, Caterina, fugge dall’aula. Sconvolta.
L’AGGUATO MORTALE
Sono passati quasi tre anni dall’agguato mortale del 21 marzo 2012. Alle 8,01, un uomo con il volto coperto da un casco era nel cortile di un palazzo d’epoca, nel centro di Torino, spalle all’ingresso. L’avvocato Alberto Musy apre il portone, lo vede e ha solo il tempo di chiedergli: «Cerca qualcuno?».
L’uomo con il casco, che indossa un trench scuro, in mano una scatola di cartone, si volta e spara cinque volte con un revolver 38 special. Quattro colpi vanno a segno, il quinto lo raggiunge alla testa. Musy ha ancora il tempo di chiedere aiuto, di commentare con un vicino l’accaduto: «Che mondo... mi hanno sparato».
LUNGA AGONIA
Riesce a parlare con la moglie Angelica, poi perde conoscenza ed entra in coma. Dopo diciannove mesi di agonia, muore in una clinica senza avere mai più ripreso conoscenza. Gli investigatori faticano a trovare un indizio. La Torino bene, cara a Fruttero&Lucentini, non collabora. Tanto che l’avvocato di parte civile, Giampaolo Zancan, definisce il clima come «omertoso».
I VELENI DELLA TORINO-BENE
Mesi di intercettazioni fanno emergere miserie e veleni, proprio nell’ambiente più vicino alla vittima, quello dei baroni universitari e degli aspiranti tali. Poi un politico, sollecitato più volte, inizia a descrivere i retroscena della campagna elettorale 2011 e spunta fuori la strana figura di Furchì, candidato nella lista centrista dell’avvocato. Non solo: un professore, Pier Luigi Monateri, parlando con un’amica dice di riconoscere nel killer con il casco proprio Furchì: non ne fa parola con altri, ma al processo sarà uno degli elementi a favore dell’accusa.
ZERO ALIBI, MOLTI INDIZI
Si scopre che Furchì non ha alibi per la mattina del 21 marzo; anzi, per i giudici ha mentito su orari e movimenti; che ha spento il cellulare per quasi tutta la giornata, salvo una telefonata alle 7,25 agganciata da una cella non distante dal luogo del delitto. La polizia ricostruisce i rapporti con Musy. Il movente si consolida, coinvolge faccendieri e broker di dubbia affidabilità. Furchì zoppica leggermente, proprio come l’uomo con il casco. Le perizie del pm lo confermano, quelle della difesa no. L’arma non è stata trovata. La difesa andrà in appello. L’avvocato Giancarlo Pittelli: «Sentenza scandalosa, ci batteremo sino all’ultimo per cancellarla».