Alberto d’Argenio per la Repubblica
L’aspetto positivo è che la manovra italiana non sarà immediatamente bocciata dalla Commissione europea. Il lato negativo è che l’Italia resta nel mirino di Bruxelles, inserita nel terzo gruppo dei paesi che ieri hanno ricevuto la missiva Ue sui conti: il vagone di coda, quello dei peggiori. E dunque continua a rischiare di essere messa sotto tutela europea.
Una situazione in bilico dettata da Jean-Claude Juncker per marcare stretto Renzi ma non dar fuoco alle polveri delle polemiche. Per questo il presidente della Commissione ha voluto che la lettera all’Italia fosse un capolavoro di equilibrio.
Tra minacce velate, come quella di togliere d’un colpo i 19 miliardi di flessibilità accordati a Roma nel 2016 e mettere subito l’Italia sotto procedura, e buoni auspici, come quello di proseguire con un «dialogo costruttivo» per sbrogliare la matassa.
Per questa ragione le lettere di richiamo a sette capitali sono partite con quasi una giornata di ritardo rispetto al previsto. C’è stato un lavoro di limatura, inframezzato dai contatti con il governo italiano, sfociato nella presentazione delle missive al collegio dei commissari europei riunito a Strasburgo.
Le lettere comprendono tre fasce di paesi. I primi sono quelli senza governo, Spagna e Lituania. Il secondo gruppo comprende Belgio e Portogallo, nazioni le cui bozze di manovra rispettano le regole ma devono dare garanzie sulla capacità di proseguire con le riforme. Infine i paesi le cui finanziarie rischiano di non essere conformi alle regole: Italia, Cipro e Finlandia.
Il calendario adesso prevede una manciata di tappe. La prima, il 31 ottobre, che offre a Bruxelles la possibilità di bocciare la manovra e chiederne una nuova. Ma questo — assicurano dal cuore della Commissione — non avverrà. Si va così al prossimo mese, con la pubblicazione, il 9 novembre, delle previsioni economiche d’autunno sulle quali si baseranno poi le pagelle europee e che per l’Italia potrebbe rappresentare qualcosa di più. E qui si entra nel cuore del negoziato tra Roma e Bruxelles.
Nelle ultime ore il Tesoro ha tagliato parte delle entrate una tantum e aumentato i tagli alla spesa per venire incontro ai dubbi europei sulle coperture e sulla qualità della legge di bilancio. Lavoro riflesso nella lettera, che non cita esplicitamente le entrate ballerine. Ora per andare a dama il governo spera nell’altro binario del tira e molla in corso dietro le quinte. Padoan chiede a Moscovici, responsabile degli Affari economici, di modificare la cosiddetta “matrice”, ossia i complicati criteri di calcolo dai quali escono le pagelle europee. In sostanza, per Roma la Ue sbaglia i conti e deve correggerli. Se questo avvenisse, e Roma vuole che si verifichi contestualmente alle previsioni di autunno, per l’Italia tutto andrebbe magicamente a posto, con il deficit (criticato nella lettera) che tornerebbe nei parametri chiudendo la partita.
Ipotesi sul tavolo, che dalla Commissione non bollano come impossibile. «È una zona grigia, stiamo verificando se è fattibile », spiega un alto funzionario europeo. Il problema è che le nuove regole sono state approvate dai governi ed entrate in vigore appena da febbraio e modificarle in corsa dopo solo dieci mesi sarebbe politicamente difficile. Ma la strada è aperta. Se non la si percorrerà, però, resta aperto il nodo migranti e sisma, con Roma che chiede lo scorporo dal deficit di tutte le spese affrontate nel 2017 per i rifugiati e per mettere i sicurezza il Paese, mentre le regole Ue, che Renzi vuole forzare, prevedono solo lo sconto sull’aumento dei costi per i rifugiati rispetto al 2016 e la ricostruzione delle zone distrutte dal terremoto.
L’esito di questo complesso negoziato si intuirà l’11 novembre, quando il collegio presieduto da Juncker avrà una prima discussione sulle “opinions”, le pagelle sulle manovre dei diversi paesi che saranno pubblicate cinque giorni dopo, il 16 novembre. Se per l’Italia tutto dovesse andare per il meglio, si tornerà all’accordo inizialmente chiuso in segreto tra Juncker e Renzi e che il premier ha fatto saltare con l’approvazione di una bozza di manovra che ha tradito le aspettative di Bruxelles: via libera con giudizio definitivo congelato fino alla primavera per tenere pressione su Roma (e poter influire nella scelta di un eventuale nuovo governo in caso di sconfitta di Renzi al referendum).
Se invece il negoziato non sarà un successo, la pagella del 16 novembre farà a pezzi la manovra, ma Juncker aspetterà a bocciarla fino a quando non sarà approvata dal Parlamento, dando a Renzi il tempo di superare il referendum e modificarla. Se non lo farà da gennaio ogni momento sarà buono per bocciatura e procedura d’infrazione che potrebbe limitare la sovranità in campo economico.