UN PRETE DA MARCIAPIEDE - DON GALLO, LA VITA CONTROCORRENTE DI UN ANGELO ANARCHICO SEMPRE ACCANTO AGLI ULTIMI

Teodoro Chiarelli per "La Stampa"

Don Andrea Gallo, il fondatore della Comunità di San Benedetto al porto, si è spento ieri a Genova tra i suoi ragazzi, assistito dai nipoti, stroncato da un'insufficienza cardiaca cui si è aggiunto un edema polmonare, ma soprattutto stremato da un'attività intensa sui fronti più difficili: poveri, diseredati, tossicodipendenti, prostitute, trans. Era nato a Genova nel quartiere di Sampierdarena il 18 luglio del 1928. Fin da ieri sera è una folla che gli rende omaggio nella camera ardente nella chiesa di San Benedetto. I funerali sono previsti sabato, probabilmente nella chiesa del Carmine, da cui fu allontanato dal cardinale Siri 43 anni fa.

«Pensando a lui, mi è subito venuta alla mente la figura di San Francesco: con il santo di Assisi ha infatti molte affinità, prima di tutte la scelta incondizionata e coraggiosa di stare con i disperati». Don Andrea Gallo, no, non ci stava a farsi accostare a un santo. Neppure se a scrivere così era il suo grande amico Dario Fo. No, lui preferiva «prete dei tossici» o «prete dei poveri». O, meglio ancora, «prete da marciapiede». «Assomiglio troppo a quelli che aiuto per potermi definire "santo". E' già difficile essere "umano", e questo mi basta».

In realtà la figura di San Francesco ha sempre affascinato il sacerdote scomparso ieri nella sua Genova, circondato dal disperato affetto dei ragazzi della Comunità di San Benedetto al Porto. Proprio al santo di Assisi ha dedicato il suo ultimo volume, appena arrivato in libreria: «In cammino con Francesco». Lì racconta la chiesa dei poveri, ma anche le sue preghiere per Fabrizio De Andrè e Fernanda Pivano. E la grande speranza suscitata in lui dall'ascesa di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro: «Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena».

Provocatorio, pungente e sopra le righe. Amato e discusso. Incensato e dileggiato. Anche un po' narciso don Gallo: andare in tv (il primo a lanciarlo sull'etere nazionale fu Maurizio Costanzo) certo non gli dispiaceva e per questo già quattordici anni fa Aldo Grasso lo punzecchiava dalle colonne del Corriere della Sera. Prete di strada, angelicamente anarchico, dal linguaggio colorito e indigesto ai benpensanti. Amico di Fabrizio De Andrè e Vasco Rossi, Beppe Grillo e Fernanda Pivano, Manu Chao e Gino Strada. In prima fila nelle manifestazioni no Tav e anti G8, allo stadio a tifare Genoa. Capace di infiammare la piazza al comizio di Giuliano Pisapia dicendo: «L'Italia aspetta un segno da Milano». È stato uno degli artefici, insieme a Nichi Vendola (Sel), dell'elezione del

professor Marco Doria a sindaco di Genova, alla faccia del Pd locale. «Avevo capito che la gente lo avrebbe seguito - spiegò perché può interpretare un nuovo modo di fare politica. Io che sto sulla strada percepisco l'immensa lontananza della gente dai partiti, da quei personaggi che scappano con la cassa».

Eppure don Gallo è passato indenne attraverso 5 cardinali che mai lo hanno sanzionato nè sospeso «a divinis. «Rimproveri sì, tanti, e posso capirli. Ma li ho sempre accettati - spiegava avvolto in una nuvola di fumo dell'amato toscano - Ho fatto voto di obbedienza al mio vescovo. Sono prima di tutto un sacerdote, sempre. Era il 1970 e sull'onda del 68 quel prete si circondava di giovani in Eskimo e in parrocchia consentiva discorsi «sovversivi».
A Genova ci furono manifestazioni di piazza, se ne occupò anche Le Monde: «Manifestation contre l'archeveque de Genes».
Poi però il cardinale diede il proprio assenso al trasloco nella chiesetta di San Benedetto al Porto dove don Andrea fondò la sua comunità e iniziò l'apostolato fra gli ultimi, i tossicodipendenti, le prostitute, i primi trans. «Don Gallo - disse una volta Siri all'allora sindaco Fulvio Cerofolini - per i giovani è come il cacio sui maccheroni».

Siri, era un conservatore, ma era molto attento al sociale (sua l'istituzione dei cappellani in fabbrica) e aveva presa anche sulla Genova comunista (noti i suoi rapporti con il mitico console dei camalli, Paride Batini): vide in don Gallo un presidio, una presenza in un mondo border line. «Con Siri - disse don Andrea - avevo una certa frequentazione. Mi diceva sempre: raccontami le ultime barzellette su di me».

Poi sono arrivati Canestri, Tettamanzi, Bertone e infine Bagnasco, ma la linea non è cambiata. «Quando l'arcivescovo Bagnasco è venuto in visita a San Benedetto - raccontò - abbiamo preparato il bollito. Lui ha preso un pezzo di lingua e mi ha guardato negli occhi. "La lingua a volte bisogna anche saperla mordere", mi ha detto. Aveva ragione. E' che non mi trattengo».

Presente sui palchi di tutte le sinistre, pronto a cantare «Bandiera rossa» e «Bella ciao», don Gallo prete comunista? Quando glielo dicevi lui sorrideva sornione, giocando sull'equivoco. Poi però si faceva serio. «Comunista, no global, rifondarolo, filo-terrorista: è terribile. Di etichette me ne hanno appiccicate tante.

La mia comunità è aperta a tutti. Non ho abbracciato un'ideologia. A vent'anni mi sono fatto prete e ho scelto Gesù. Ci siamo scambiati i biglietti da visita e sul suo c'era scritto: sono venuto per servire e non per essere servito».

Pochi lo sanno, ma don Gallo era amico di don Gianni Baget Bozzo, craxiano e poi ideologo di Berlusconi, dopo essere stato dossettiano e democristiano. I due si beccavano spesso a causa delle posizioni politiche agli antipodi. Ma da ragazzi durante la Resistenza erano nella stessa brigata cattolica comandata da Dino, fratello di Andrea.

 

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