Giancarlo Perna per “Libero Quotidiano”
Se toccherà a Valter Veltroni salire sul Colle sarà il ritorno di Cincinnato. Da quasi due anni, Valter è uscito senza tentennamenti dalla scena politica, dopo averla calcata per trentacinque. Nessuno dei nomi fatti per il Quirinale in questi giorni è nelle sue virtuose condizioni. Romano Prodi, pur assente in Italia dal 2008, è tuttora pieno di incarichi pubblici per l’Onu, enti internazionali e cose varie. Veltroni si è riciclato in altro.
Dal 2013, quando non si ricandidò al Parlamento, ha scritto libri, girato un film (“Quando c’era Berlinguer”), è stato commentatore cinematografico tv (su Iris, rete Mediaset), ma di poltrone non ha più voluto sapere. Anni fa, ospite di Fabio Fazio, aveva detto: «Non bisogna fare la politica a vita ma continuare a fare le cose nelle quali si crede facendo altro». Ha seguito le sue convinzioni e si è messo sulla scia dei grandi del passato che, ritenendo conclusa la fase pubblica, si fermano a riflettere. Penso, nel campo socialista al quale Valter è appartenuto - sia pure nella versione comunista -, a Ivanoe Bonomi che cinquantenne si ritirò a vita privata e scrisse memorie.
E ancor più al capostipite di costoro, Gaio Crispo Sallustio che, lasso del Senato di Roma, l’abbandonò per diventare un monumento della storiografia. Insomma, ritirandosi, Valter dette l’impressione di essersi rifatto a questi modelli. Se ora, facendo retromarcia, punta invece al Quirinale, torna a galla la sua vita passata.
E non è tutta un belvedere. Veltroni, che oggi è alle soglie dei 60 anni, rimase orfano di padre a un anno. Il babbo, Vittorio, grande giornalista e primo direttore del tg Rai, morì a 38 anni di tumore. Valter ne ha seguito le orme, diventando a sua volta giornalista (ha diretto l’Unità) e tenendo sempre un piede, se non due, nella Rai dove anche la mamma ha lavorato.
In politica ha invece deviato, poiché Vittorio era democristianissimo, mentre Valter si è iscritto al Pci ancora in calzoni corti. Fu anche, come spesso gli orfani precoci, uno studente difficile. Ritirato da diverse scuole romane per insufficienza, chiuse con gli studi conquistando un diploma di cineoperatore. Sul suo comunismo le cose stanno così.
Ha seguito pedissequamente il partito. Negli anni ’70, era antioccidentale come tutti i comunisti. Negli anni ’80 fu, come d’obbligo, anticraxiano. Inseguito, disciplinatamente antiberlusconiano. Questo schema, semplice e veritiero, si complica perché Valter ha costruito su di sé la leggenda dell’«Amerikano », poi diventato il suo soprannome. Crollato il Muro dichiarò di non essere mai stato comunista.
D ALema Mussi Veltroni Formica
Disse: «Consideravo Breznev un avversario e la sua dittatura da abbattere». Aggiunse: «Si poteva stare nel Pci senza essere comunisti. Era possibile. È stato così». Raccontò di essere cresciuto nel culto degli Usa, di ammirare i Kennedy e simili. Finché, straparlando, si dette la zappa sui piedi: «Non sono neanche stato nei Paesi socialisti».
maglietta veltroni da LaStampa
Furono invece rinvenute foto che lo immortalavano diciottenne al Festival della Gioventù comunista di Berlino. Allertati dalla bugiola, i cronisti scavarono più a fondo scoprendo che il giovanotto era stato un comunista fatto e finito. Parlava dell’«asservimento della Dc e dell’Italia al soldo degli americani» e accusava la Dc, il partito del babbo, di «avere venduto il Paese agli yankee». Era anche molto autoritario, alla Togliatti, se rivestiva posti di comando.
Da segretario della Fgci romana espulse un gruppo di ribelli, tra cui Augusto Minzolini, futurodirettoredelTg1 e senatore Fi, dicendo: «Se siamo il più grande partito comunista d’occidente non è grazie alle vostre balle ma alla nostra capacità politica». In ogni caso, estinta l’Urss, Veltroni si occidentalizzò e divenne ciò che è oggi: un morbido buonista. Fu sempre più accomodante, sfumò le opinioni, divenne impalpabile. Tanto che si cominciò a chiamarlo Welter, come i pesi leggeri del pugilato.
1994 direttore unita walter veltroni unita
Prima di essere sindaco di Roma (2001-2008), che fu l’apogeo della sua carriera, Veltroni divenne vicepresidente del Consiglio del governo Prodi I (1996-1998). Era anche ministro dei Beni culturali e si ironizzò che lo fosse pur non avendo mai messo piede all’università. Si osservò, tuttavia, che anche Benedetto Croce, privo di laurea, fu ministro dell’Istruzione.
1976 veltroni dalema annunziata fabio mussi gio amendola
Al segretario Pds, D’Alema - ancora ignaro che di lì a poco sarebbe stato premier - non andava giù che Valter fosse vicepresidente del Consiglio e non perdonò a Prodi la scelta.Per sfogare la rabbia, li definì «due flaccidi imbroglioni». Come sindaco di Roma, Veltroni avviluppò la città in una rete di interessi in cui tutti trovavano il proprio tornaconto.
Non volendo inimicarsi nessuno si condannò al nulla. Si avvantaggiarono solo palazzinari e no global-ecologisti che Valter giocò gli uni contro gli altri. Ai costruttori ha consegnato migliaia di ettari per edificare 70 milioni di metri cubi. Agli altri, per zittirli, ha consentito di moltiplicare le occupazioni di “centri sociali” di cui Roma divenne il bengodi.
1988 walter veltroni achille occhetto
Lasciò il Campidoglio nel 2008, con tre anni di anticipo sulla scadenza del secondo mandato, per guidare il Pd da lui appena fondato e battersi contro il Cav nelle politiche di quell’anno. Perse malamente. Era la seconda sconfitta che subiva dal Berlusca dopo quella del 2001, all’epoca della sua segreteria dei Ds. Grazie a questi scontri diretti, i due si conobbero meglio.
1996 veltroni prodi abbracciati
Pur senza affatto amarsi, i lCav capì che Valter, tra i vari comunisti, era il meno aggressivo. Ipocrita magari, ma ragionevole. Tanto che per i puri e duri della sinistra, i Flores d’Arcais, Pancho Pardi, girotondini vari, Veltroni fu dato per perso e accusato di rammollimento disfattista. È proprio questo, però, che aumenta le sue chances per il Colle.
1983 walter veltroni enrico berlinguer
Se Matteo Renzi lo proponesse - e perché non dovrebbe, essendo stato da lui sostenuto dall’inizio? - il Berlusca non direbbe no.Valter - che come sappiamo già collabora con Mediaset - gli farebbe da sponda per il suo impero tv, legato com’è al mondo del giornalismo, degli show men, dello spettacolo. Per dire quant’è intimo dell’ambiente: ha perfino prestato la voce al personaggio di Rino il Tacchino, doppiandolo nel cartoon disneyano, Chicken little! Voi direte: ma quante mai sfaccettature ha quest’uomo?
1987 walter veltroni primo piano
E non vi ho ancora parlato dell’Africa. Valter è un patito del Continente Nero. Nel 2006 in tv, aveva anche giurato che, chiuso col Campidoglio, si sarebbe trasferito colà per aiutare la popolazione, lasciando la politica. Aggiunse: «So che tutti diranno: “Dice così ma non è vero”. Ne parleremo tra cinque anni e vedremo se sarà vero o no». Vero non fu e fece figura barbinissima. Ma è acqua passata. Comunque, in Africa è di casa al punto che è stato nominato capotribù di Balaka. Per riassumere.
Se lo diventerà, Valter sarà un presidente postmoderno. Il primo che abbia girato un film. Il primo che non abbia la laurea. L’unico d’Europa che sia anche capotribù in Africa. Il solo al mondo che abbia la voce di Rino il Tacchino. Se vipiace, è lì che aspetta.