LA VERSIONE DI MUGHINI - HO SEMPRE PENSATO CHE I BRIGATISTI FOSSERO DEGLI IDIOTI, DEI VILI ASSASSINI, MA È SBAGLIATO NEGARE AD ADRIANA FARANDA IL DIRITTO DI RACCONTARE CON GARBO E INTELLIGENZA L'INFERNO CHE HANNO ATTRAVERSATO. IN ITALIA NON ESISTE LA PENA DI MORTE, E CHI HA PAGATO, DEVE POTER DARE LA PROPRIA TESTIMONIANZA, PREZIOSA
Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago, è una situazione ricorrente che in molti si oppongano al fatto che degli ex terroristi rossi siedano a confronto con familiari delle loro vittime in una pubblica discussione su quel che è stato il terrorismo e i suoi inferni.
Succede adesso a proposito di un pubblico confronto in cui da una parte del tavolo avrebbero dovuto sedere Franco Bonisoli, uno dei fondatori delle Br, e Adriana Faranda, l’ex militante di “Potere operaio” che faceva parte delle Br al momento della cattura di Aldo Moro e del massacro della sua scorta.
Non ho mai incontrato Bonisoli, quello che aveva sparato alle gambe di Indro Montanelli e che poi sarà l’ultimo ad abbandonare la camera ardente dove giaceva il corpo di Indro. Segno che di Bonisoli ce ne sono stati due, molto diversi l’uno dall’altro: avevano in comune solo il nome e cognome.
Così come ci sono state due Adriana Faranda, quella che a un certo momento della sua vita inseguiva per le scale dell’università non ricordo più quale sua vittima prima di tentare di sparargli, e quell’altra che (assieme a Valerio Morucci) volle incontrare in carcere la figlia di Aldo Moro e la sua figlioletta. Di questa seconda Faranda sono stato e sono amico. Di più, le voglio bene.
Premetto che dei Brigatisti rossi ho pensato, dal primissimo minuto del loro agire e fino al momento in cui ciascuno di loro riconobbe quanto erano stati stronzi, che erano degli idioti, degli schiavi di un’ideologia farneticante, dei vili assassini (andarono in quattro a sparare in faccia a Carlo Casalegno, nell’androne della sua casa torinese), gente che balbettava formulette caricaturali che non dicevano la benché minima verità sulla società italiana dei Settanta.
frv20 adriana faranda francesca mambro
E quando scoppiò la discussione se pubblicare o no sui giornali i loro comunicati, ero dell’opinione del socialista Riccardo Lombardi. Eccome se andavano pubblicati, a far vedere a tutti di quali puttanate intellettuali erano intrisi quei comunicati. Assassini e basta. Hanno distrutto vite.
Hanno distrutto la loro di vita. Quando Adriana era una militante delle Br e rimase incinta, i suoi “compagni” pretesero che lei abortisse. Per una che stava battendosi a costruire la “società perfetta”, non ci poteva essere spazio per un figlio. Idioti al cubo.
Detto questo, la società italiana non prevede la pena di morte. Prevede una pena, che nel caso di Bonisoli, della Faranda, di Morucci e tanti altri non è stata lievissima. Scontata quella pena, ognuno di loro ridiventa un cittadino italiano a tutti gli effetti. Non al punto da dir messa, ma da assistere alla messa sì. (Parlo in termini figurati. Né più né meno di come ha fatto Massimo Giannini di recente).
Tenere lezioni ex cathedra su quel che è stato il terrorismo, ovvio che no. Raccontare con garbo e intelligenza (e per quel che riguarda Adriana, di garbo e di intelligenza ne ha tanta) l’inferno che hanno attraversato, l’inferno del terrorismo, e come lo hanno vissuto da dentro, raccontare il Male loro che erano arcisicuri di essere dei sacerdoti del Bene, per questo la loro testimonianza mi appare preziosa.
Sergio Segio e Susanna Ronconi
A dire del miglior libro italiano sulla storia e sulla identità ideologica delle Brigate rosse, il libro del professor Alessandro Orsini (“Anatomia delle Brigate Rosse”, Rubbettino, 2009-2010), un libro in cui quell’inferno viene esplorato parola per parola e gesto per gesto, Orsini cita per pagine e pagine i libri di Morucci (anche lui un mio amico), i libri in cui Valerio racconta quel che lui era al tempo in cui cui scattò da dietro un cespuglio di via Fani a mirare a uno della scorta di Moro. Chi meglio di lui può raccontare da dentro l’inferno dell’odio ideologico e dell’agguato omicida?
Nel dare agli ex brigatisti il diritto di usare la parola o la pagina scritta, pecchi di indifferenza verso le loro vittime, verso coloro le cui carni vennero straziate dal piombo brigatista? No, non lo penso affatto. Non penso affatto che dare la parola a Sergio Segio, al Segio di oggi, sia un peccare di indifferenza verso i magistrati assassinati da Prima linea e da Segio in persona.
Il Segio che sparava ad Alessandrini, il Morucci che sparava a via Fani, il Bonisoli che mirava alle gambe di Montanelli non esistono più. E’ questo il bene di un Paese come l’Italia, e a differenza dei Paesi in cui vige la pena di morte. Quanto alla misericordia per le loro vittime, sono arcisicuro che gli ex terroristi di cui ho detto la coltivino dal momento in cui si alzano al mattino al momento in cui chiudono gli occhi alla sera. Testimoni tragici e preziosi. Come non ascoltarli?
Giampiero Mughini