VERSO L'USCITA DALLA CASA BIANCA, OBAMA SI TOGLIE TUTTI I MACIGNI DALLE SCARPE - ''SARKOZY E CAMERON SCROCCONI: NEL 2011 CI HANNO FATTO INTERVENIRE IN LIBIA E POI HANNO ABBANDONATO IL PAESE'' - L'ANTIPATIA PER NETANYAHU, GLI ERRORI IN SIRIA, L'ISIS COME IL JOKER, I SAUDITI INCIVILI CHE REPRIMONO LE DONNE
1. SONDAGGIO GALLUP: IL CONSENSO PER OBAMA AL LIVELLO Più ALTO DA TRE ANNI (50%): QUANDO VEDI CLINTON E TRUMP, TI RICORDI DI QUANTO BARACK SIA NETTAMENTE MEGLIO...
2. IL COLLOQUIO DI BARACK OBAMA CON ''THE ATLANTIC'', INTEGRALE E DA LEGGERE
http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2016/04/the-obama-doctrine/471525/
3. VIDEO - LA LINEA ROSSA CHE E' SALTATA
4. “EUROPEI PARASSITI SULLA SICUREZZA” OBAMA FA I CONTI CON GLI ALLEATI
barack obama intervista the atlantic
Federico Rampini per “la Repubblica”
Basta con i comportamenti da «parassiti e scrocconi» degli alleati europei. È stufo della «condiscendenza» di Benjamin Netanyahu. La guerra in Libia è stata «un fallimento». Sono confessioni che un presidente di solito riserva al suo primo libro di memorie, appena lasciata la Casa Bianca. Barack Obama invece vuota il sacco in anticipo. Ha ancora dieci mesi al potere ma evidentemente non vede l’ora di regolare i conti. Con nemici e alleati. Lo fa in una lunga serie di interviste al magazine The Atlantic.
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Ne emerge una difesa della sua politica estera, e qualche autocritica. Primo: non fare stupidaggini. Principio ispiratore della sua politica estera è la famosa frase “ don’t do stupid shit” (letteralmente tradotto con “str…zate”). Lui lo usa come antidoto alla filosofia di George W. Bush, che considera ancora prevalente nell’establishment di politica estera. Attacca il «feticismo della credibilità acquisita con la forza militare».
barack obama intervista the atlantic
Secondo lui «gettare bombe su qualcuno per dimostrare che sei pronto a gettare bombe su qualcuno, è la peggiore ragione per usare la potenza militare». La sua gerarchia dei pericoli veri è chiara, ancorché controversa: «L’Is non è una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, il cambiamento climatico sì». Un presidente deve sapere che non può risolvere tutto, deve scegliere dove può avere un impatto vero. «Non è brillante l’idea che di fronte a ogni crisi dobbiamo mandare i nostri militari a imporre l’ordine ».
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Parassiti della sicurezza. L’espressione che usa Obama per descriverli, “free rider”, indica chi usa un mezzo pubblico senza pagare il biglietto. «Non sopporto quei comportamenti, perciò ho detto a Cameron che l’Inghilterra non può aspirare a una relazione speciale con noi se non spende almeno il 2% del Pil per la Difesa». Per la stessa ragione volle che francesi e inglesi prendessero il comando delle operazioni in Libia per cacciare Gheddafi: «Era parte della campagna anti-scrocconi». Ma Sarkozy se l’è giocata in campagna elettorale «strombazzando le gesta della sua aviazione, dopo che noi avevamo eliminato tutte le difese antiaeree di Gheddafi».
LIBIA, “PERCHÉ È FINITA MALE”
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Obama spiega perché si lasciò trascinare in quell’operazione. «C’erano proteste di massa contro Gheddafi, lui mandò l’esercito verso Bengasi promettendo di uccidere i rivoltosi come topi. Una serie di paesi europei invocarono l’intervento. Volevano che fossimo noi a farlo: scrocconi. Io posi delle condizioni: mandato Onu, niente scarponi sul terreno, coinvolgimento degli alleati europei e del Golfo». Il suo bilancio oggi è negativo: «Abbiamo evitato una guerra civile ancora peggiore ma nonostante tutto è un caos». Chiama in causa gli alleati: «Avevo più fiducia negli europei, pensavo che essendo più vicini sarebbero stati maggiormente coinvolti nel dopo-Gheddafi».
SIRIA, LA “LINEA ROSSA” OLTREPASSATA
Lo hanno criticato anche i suoi due segretari di Stato (Clinton e Kerry) più o meno implicitamente, per quello sciagurato avvertimento. Obama minacciò nel 2013 l’attacco militare se Assad avesse varcato la “linea rossa” delle armi chimiche; poi non passò agli atti. Oggi il presidente confessa che si sentiva andare «in una trappola», se fosse intervenuto. «Potevamo fare dei danni al regime Assad ma non eliminare completamente i suoi arsenali.
Lui sarebbe sopravvissuto vantandosi di avere sfidato vittoriosamente l’America, denunciando la nostra azione come illegale. Sono fiero di avere avuto la capacità di tornare indietro all’ultimo, nell’interesse dell’America e nel rispetto della nostra democrazia. Ho voltato pagina rispetto ai manuali d’istruzioni di Washington, che tendono a prevedere sempre la risposta militare ».
ARABIA SAUDITA E “CONFLITTI TRIBALI”.
È duro con quello che fu per decenni l’alleato privilegiato degli Stati Uniti in Medio Oriente, subito dopo Israele. «Si misura il successo di una società da come tratta le sue donne. Un paese non può funzionare nel mondo moderno se reprime metà della sua popolazione». Respinge le critiche dei sauditi sull’aver sdoganato l’Iran. «Sauditi e iraniani devono instaurare una pace fredda, imparare a condividere il vicinato. Non sta a noi usare la nostra potenza militare per i loro regolamenti di conti tribali».
Obama non si riconosce nelle descrizioni di chi gli attribuisce un grande disegno storico, una “pace persiana”, qualcosa di simile al disgelo Usa-Cina sotto Nixon-Kissinger. Qui adotta una descrizione minimalista e pragmatica per l’accordo con Teheran: «C’era un pericolo concreto da evitare, il piano nucleare. Di quello mi sono occupato».
STATO ISLAMICO, “DARK NIGHT” DI BATMAN
Ha cambiato idea, e definizione, sui jihadisti dello Stato Islamico. Riconosce di averli sottovalutati — per difetto di informazioni dalla sua intelligence — quando li definì «la squadra giovanile di Al Qaeda». Ora passa a un’altra metafora, il Joker di Gotham City. Perché come nel film di Batman la vera forza dell’Is è stata quella di inserirsi in un’area controllata da «criminali corrotti» e appiccare l’incendio.
A conferma dell’antipatia reciproca ecco un aneddoto su un incontro col premier israeliano. Irritato dalla condiscendenza e dal senso di superiorità con cui “Bibi” lo sta trattando, Obama sbotta: «Sono nero e figlio di una mamma single. Nonostante questo sono riuscito a diventare presidente. Se pensi che sono un incompetente ti sbagli».
Un’altra crisi che lui affronta con la realpolitik. Pur restando ferma la condanna dell’aggressione russa, e le sanzioni per convincere Mosca a rispettare la legalità internazionale, Obama vede una inevitabile “asimmetrìa”. L’interesse di Putin è troppo forte in quell’area, che invece per l’America è distante e non strategica. «L’Ucraina non è uno Stato membro della Nato e resta vulnerabile verso un dominio militare della Russia. Bisogna essere chiari su quali siano i nostri interessi strategici, e in quali casi noi siamo pronti a entrare in guerra».