VINCE IL PD MA IL PAESE SI SPOSTA A DESTRA - RENZI S’E’ MARCHIONNIZZATO DA TEMPO, SALVINI SI E’ SCOPERTO LEPENISTA - IL GRILLISMO NON TROVA FORTUNA FUORI DAGLI SCHEMI DESTRA-SINISTRA E LA BASE EX PCI NON SI RICONOSCE IN NESSUNO
Giovanni Orsina per “la Stampa”
L’Italia va a destra? Posta due giorni dopo il 49% raccolto dal candidato democratico Bonaccini in Emilia e il 61 di Oliverio – anche lui Pd – in Calabria, questa domanda potrebbe sembrare provocatoria. In realtà lo è assai meno di quanto paia. Se infatti all’interno del sistema politico italiano il principale partito di centro sinistra trionfa mentre sul versante opposto volano i piatti, allo stesso tempo l’intero sistema politico italiano sta «slittando» verso destra.
Lo sconcerto degli elettori per questo doppio movimento, non facile da comprendere, potrebbe non essere l’ultima fra le tante ragioni dell’astensionismo. La crisi economica – che è anche crisi del progetto di integrazione europea – non ha agito in maniera simmetrica sui due versanti dello spazio pubblico, ma ha alimentato l’opposizione radicale di destra ben più che quella di sinistra.
E non soltanto in Italia: alle elezioni europee di cinque anni fa, solo per prendere un esempio, il Fronte Nazionale e il Fronte di Sinistra in Francia raccolsero più o meno lo stesso numero di suffragi, poco più del 6%. Nel voto del maggio di quest’anno, mentre le sinistre confermavano quella percentuale, Marine Le Pen la quadruplicava.
In quest’esito c’è una certa logica, del resto: che la si interpreti come il frutto d’un fallimento del mercato, o dei processi di globalizzazione, o dell’Europa, in ogni caso la crisi economica spinge a rivolgersi all’unica istituzione dalla quale – per quanto criticata e indebolita – si può sperare di ricevere un minimo di protezione: lo Stato nazionale. E storicamente, culturalmente, psicologicamente, lo Stato nazionale sta a destra.
La destra moderata è ovviamente la prima a essere sfidata dalla crescita prepotente della destra radicale. Anche in questo caso non si tratta di un fenomeno soltanto italiano – oltre che al Fronte Nazionale, si pensi allo UK Independence Party: forte del 27% raccolto alle europee, qualche giorno fa ha vinto un’elezione suppletiva, e sta mettendo sotto pressione il Partito conservatore in vista del voto politico del prossimo maggio.
In Italia tuttavia lo scontro a destra è reso ancora più complicato – e la capacità del centro destra di arginare la crescita della Lega ulteriormente indebolita – dalla profonda crisi d’indirizzo e leadership del berlusconismo. Guai sempre a quel partito che in un momento di trasformazione del quadro politico, quando le posizioni consolidate evaporano e si aprono opportunità impensate, si fa trovare inerte, diviso, introverso.
Lo «scivolamento» verso destra del sistema politico italiano non aiuta a capire soltanto quel che sta succedendo a destra, a ogni modo, ma contribuisce a spiegare pure quel che avviene in altri quartieri. I movimenti di Renzi, in primo luogo. Sensibilissimo all’evoluzione dello spirito pubblico, e risucchiato inoltre dall’area di «bassa pressione elettorale» che l’implosione berlusconiana sta generando, negli ultimi mesi il presidente del Consiglio si è spostato di varie caselle verso destra. Una mossa elettorale e politica abile e tutt’altro che insensata – anche se, inevitabilmente, destinata a generare contraccolpi robusti.
La sterilità di cui sta dando prova la cultura progressista radicale di fronte alla crisi, economica e non solo, dei nostri tempi, in secondo luogo, aiuta a spiegare per quale ragione nessuno sia ancora riuscito a riempire lo spazio che Renzi lascia scoperto a sinistra. Certo, ci sono Landini, Camusso e il sindacato, sui quali tanto si è scritto in queste ultime settimane.
Non può essere irrilevante tuttavia che la rossa Emilia Romagna, nel momento in cui ha voluto lanciare un segnale d’insoddisfazione al Partito democratico e al suo segretario, abbia scelto di farlo con l’astensione. E non piuttosto votando per il candidato della sinistra alternativa, che è restato al di sotto del 4% dei suffragi. Ragionare nei termini tradizionali della frattura fra destra e sinistra, in terzo luogo, aiuta a spiegare le difficoltà dei grillini.
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Nato per trascendere quella frattura e con l’ambizione di collocarsi in un «altrove» non di destra né di sinistra, il Movimento in quell’«altrove» non pare stia trovando fortuna né politica né elettorale. Segno che certe logiche politiche tradizionali, sebbene così vecchie da precedere perfino l’avvento di internet, un loro peso lo hanno ancora.
La crescita rapida e consistente dei partiti della destra più radicale in Italia e al di là delle Alpi, in conclusione, pone – e presumibilmente continuerà a porre ancora a lungo – una sfida seria a tutte le altre forze politiche, dalla destra moderata alla sinistra radicale, passando per l’«altrove» grillino.
Come ha scritto assai bene Cesare Martinetti su questo giornale una decina di giorni fa, commentando gli avvenimenti di Tor Sapienza a Roma, certe paure, rabbie e frustrazioni scaturiscono da ragioni profonde e reali. Hanno il potere di modificare il quadro politico perché reclamano a gran voce risposte politiche. E se non ne troveranno di politicamente corrette, non potranno che cercarsene di politicamente scorrette.