VIVA IL MURO! - IN UNGHERIA NON SONO D’ACCORDO COL PREMIER MALDESTRO ORBAN: IL MURO DEVE ESSERE PIÙ ALTO” - ''I MIGRANTI SONO SPORCHI. PISCIANO PER STRADA. FANNO TANTA IMMONDIZIA"

Niccolò Zancan per “la Stampa”

UNGHERIA AGENTIUNGHERIA AGENTI

 

Chilometri di campi coltivati, pannocchie, cavoli e grano, piccole nuvole danubiane soffici come zucchero filato, per arrivare infine a questo ristorante-bar affacciato sulla frontiera Est d’Europa. Si chiama «Viva», una pizza «Al Capone» costa 1020 fiorini, il corrispettivo di 4 euro. E dietro al banco c’è un ragazzo di nome Cristian, 23 anni, con due braccia spesse e la pancia grossa. 

«Questa idea del muro, così come l’ha presentata il primo ministro Orbàn, non mi convince - dice -. Quattro metri non bastano». Il muro sarebbe troppo basso? «Certo! Quelli possono imparare il modo di saltarlo.

 

muro ungheriamuro ungheria

Ho visto in televisione che lo fanno anche in Spagna, a Melilla, vicino al Marocco, dove le barriere sono alte più del doppio». Ma «quelli», Cristian, i migranti, i profughi, i ragazzi della tua età che scappano da guerre e povertà, cosa ti fanno di male? «Sono sporchi. Pisciano per strada. Mollano quei vestiti lerci in giro. Fanno tanta immondizia». 
 

Entra la signora Szucsné Kantor per un caffè. È la proprietaria di una casetta con i tetti spioventi alla fine della strada. Cappelli corti, occhiali, un gatto e delle galline. La sua foto è finita a pagina 2 dei quotidiani locali: «Viva il muro - dice sorridendo - sono proprio felice. I migranti passano davanti alla mia proprietà. Non mi sento sicura». In prima pagina c’è il filo spinato. Titoli a caratteri cubitali: «Cortina di ferro!». «Un muro contro i migranti». «Il governo ha già stanziato 30 miliardi». Cosa sta succedendo in Ungheria? 
 

Viktor Orban Viktor Orban

Il «fronte»
Questa frontiera lunga 175 chilometri è quanto mai inafferrabile. Passa attraverso villaggi dispersi, dove incontri uomini e donne anziani in bicicletta, e non certo per ragioni ecologiste. Da una parte c’è la Romania, dall’altra la Bosnia. Ma è questo tratto a Sud, che confina con la Serbia, il problema.

 

Nel 2012 da qui sono entrati 2 mila migranti, l’anno scorso 46 mila. I tre comuni più interessati sono Röske, Àsatthalom e Mòrahalom. Il sindaco di quest’ultimo, si chiama Nògradì Zoltàn: «Sono favorevole a tutto quello che può ripristinare l’ordine». Non sono tutti esaltati dall’idea del muro. Ma quasi nessuno lo critica.

 

Neppure un ragazzo di nome Daniel Toth, che lavora in un centro di assistenza comunale per anziani soli: «Qualcosa il governo doveva pur fare per dare una risposta a questo problema enorme». 
 

muro spagna maroccomuro spagna marocco

Ti accorgi del problema inseguendo le sirene della polizia, attraverso sterrati e campi, quando i ragazzi sbucano dai boschi e mettono i piedi sulla terra ungherese. Iniziano i rastrellamenti. Spesso le camionette stanno appostate vicino alle fermate dei pullman. Dove prima o poi finiscono quelli che sognano di proseguire il viaggio. Ed è lì che incontriamo Francis. Insieme a quattro amici, sta camminando da 19 giorni consecutivi: è partito da Daraa, Siria, dal centro della guerra. 
 

A piedi dalla Siria
«Questa è la rotta di chi ha paura del mare. Io ho un fratello, passato dalla Libia, morto nel Mediterraneo. Ecco perché siamo venuti a piedi». Sempre a piedi? «Certo», risponde. «Se chiedi un passaggio in Macedonia rischi di finire in manette». Abbiamo seguito la linea ferroviaria, ci siamo fermati a Subotica in Serbia.

 

In media abbiamo percorso 80 chilometri al giorno. Redbull, Snikers, datteri. Non ho mangiato altro. Redbull e camminare. Soprattutto di notte». Deve trovare qualcosa di antipatico nella mia faccia, forse l’idea di non essere creduto. Allora, con una smorfia terribile, Francis si toglie la scarpa destra.

 

«Guarda qui», dice. Il suo piede non è piagato, non è neppure ferito, di più. È un monumento alla forza umana. Anche se adesso tutto questo sacrificio rischia di essere vanificato. «Dove ci portate?», chiede al poliziotto. «Non è una galera», risponde l’agente. 

muro grecia turchiamuro grecia turchia

 

È il vecchio deposito mezzi della dogana. Una costruzione azzurra dove i migranti vengono raccolti, poi smistati, e nel frattempo guardati a vista da uomini armati. «Noi vogliamo andare via dall’Ungheria. Germania. Germania», ripete Francis. «Possiamo partire?». Li fanno salire sul furgone alle due di pomeriggio. Vanno via insieme a tutti gli altri «presi» in questa giornata: circa ottanta persone. «Sappi che la Serbia è piena di gente come me», dice ancora Francis prima che i poliziotti chiudano la porta blindata del furgone. «Dormono nei prati. Vogliono passare la frontiera...». 
 

Business per tutti
Alzeranno un muro qui, fra gli alberi di albicocche. Come ha fatto anche la Bulgaria più a sud e persino la Grecia - con fondi europei - lungo l’argine del fiume Evros. C’è una ragazza che quasi si mette a piangere, per la notizia. Si chiama Gabriela Mitrea, origini romene, marito turco, gestiscono insieme il ristorante «Istanbul Parking». È sul raccordo autostradale, dopo la dogana, dove si fermano i camionisti a riposare. «I migranti saltano giù dai rimorchi e persino dai bagagliai di piccole auto.

 

muro bulgaria turchiamuro bulgaria turchia

Sono un business per i serbi e anche per gli ungheresi. Ho visto un pilota d’aereo partito a piedi da Damasco. Ho visto un uomo siriano di 75 anni in sedia a rotelle. Una madre con 5 bambini. Tutti sono stravolti e mi chiedono due cose: un po’ d’acqua e un taxi. Ma appena chiamo, arriva la polizia. Li prendono e li riportano indietro». Con tanti cari saluti dall’Europa.

Viktor Orban Viktor Orban

 

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