IL MILAN HA LO STESSO VIZIETTO DEL CAINANO: PUR DI NON PERDERE FAREBBE DI TUTTO (COME NELLA PARTITA CONTRO IL TORINO. PAROLA DI UN TIFOSO GRANATA: MASSIMO FINI)

Massimo Fini per "Il Fatto Quotidiano"

Torino-Milan, sabato. Il Toro a una manciata di secondi dalla fine sta vincendo 2-1. Uno dei giocatori granata, Larrondo, è a terra da qualche minuto, infortunato. I tecnici del Torino hanno già chiesto l'interruzione del gioco per soccorrere il giocatore (che poi uscirà in barella) e sostituirlo, ma l'arbitro ha fatto continuare perché col Milan tutto all'attacco l'azione è viva.

Non lo è più quando la palla finisce in fallo laterale. A questo punto una delle regole morali del calcio vorrebbe che i giocatori rossoneri si fermassero per permettere soccorso e sostituzione. Invece rimettono rapidamente la palla in gioco e dall'azione nascerà il rigore che porterà il Milan al pareggio. Atalanta-Milan, Coppa Italia ‘89-90. Il centravanti del Milan, Borgonovo, è a terra, infortunato, nell'area di rigore bergamasca.

Stromberg, che è in possesso della palla, la mette fuori per permettere i soccorsi al giocatore milanista. La mette fuori all'altezza dell'area di rigore dell'Atalanta, non la calcia lontano. Stromberg è svedese, è un giocatore estremamente corretto ed è certo che, come vuole un'altra regola morale del calcio, i milanisti restituiranno il pallone agli avversari. Ma non andrà così. Rijkaard invece che a un giocatore atalantino, la passa a Massaro che la butta al centro dell'area, se ne impadronisce Borgonovo, rialzatosi, che viene atterrato. Rigore.

Sul dischetto va Baresi, capitano e bandiera del Milan. C'è tutto il tempo e il modo per rimediare alla grave scorrettezza dei rossoneri sbagliando apposta il rigore. Ma dalla panchina arriva l'ordine di Sacchi. Baresi segna fra gli ululati del pubblico atalantino. Grazie a quel gol il Milan passerà alle semifinali.

Verona-Milan, ultima di campionato. Il Milan perde la partita e l'ultima speranza di aggiudicarsi lo scudetto. Allora si vedono i giocatori rossoneri, compreso l'algido Van Basten, che invece di accettare sportivamente la sconfitta, si tolgono le maglie, le buttano a terra, le calpestano, si abbandonano a scene isteriche e penose.

1991, quarti di finale di Coppa dei Campioni Olimpique Marsiglia-Milan. Il Milan aveva vinto la Coppa nei due anni precedenti, avrebbe potuto accettare con una certa serenità la sconfitta che si stava profilando (gol di Waddle). Non si può vincere sempre. A cinque minuti dalla fine si spegne uno dei quattro riflettori dello stadio.

Il nobile Maldini, il nobile Baresi e altri giocatori circondano l'arbitro: con ampi gesti indicano il riflettore spento, c'è troppo buio, non si può giocare, la partita va ripetuta (si vedevano perfino le monetine che i tifosi del Marsiglia stavano gettando sul campo per irridere a quella vergognosa sceneggiata). L'arbitro, ovviamente, non gli dà retta. Allora Galliani, in collegamento con Berlusconi, ordina il ritiro della squadra.

Una cosa inaudita, grottesca, che non si è mai vista nemmeno nei più scalcinati campetti dei campionati minori Figc. Il Milan si beccherà una squalifica di un anno. Questa incapacità di accettare la sconfitta, di cercare di evitarla anche ricorrendo ai mezzi più sleali, è un riflesso del mondo morale di Berlusconi, di cui abbiamo poi avuto ampia testimonianza nella sua attività politica ("Bastava il Milan per capirlo" scrissi per l'Europeo nel gennaio 1995).

Il calcio, si sa, è una metafora della vita. Nel mondo morale di Berlusconi c'è anche che col denaro si può comprare tutto: Guardie di finanza, testimoni, giudici. E anche di questo la storia del "suo" Milan è stata testimonianza. Quando aveva già i tre olandesi e sapeva di non poterlo far giocare, acquistò Savicevic, allora uno dei migliori giocatori del mondo, solo per toglierlo alle altre squadre. Con lo stesso scopo acquistava giocatori importanti senza farli giocare. Il nazionale De Napoli, in due anni, vide il campo, in tutto, per sette minuti. Ma il caso più emblematico è quello di Gigi Lentini.

Nel 1992 Lentini, talentuoso ragazzo del vivaio granata, aveva portato il Torino al terzo posto in campionato. Ma Berlusconi lo voleva a tutti i costi. Gli fece offerte sempre crescenti che Lentini rifiutò: nel Torino era entrato a otto anni, dal Torino aveva avuto la fama, alla gloriosa e sfortunata società granata era legato da fortissimi vincoli affettivi, il denaro non era tutto. Ma Berlusconi portò l'offerta, fra ingaggio e acquisto del cartellino, alla sbalorditiva cifra di 64 miliardi e il ragazzo, figlio di una famiglia di operai delle Banchigliette, cedette.

C'è chi dice che i miliardi siano stati "solo"30, ma ha poca importanza. Berlusconi non aveva comprato le gambe di Lentini, che non potevano valere né 60 né 30 miliardi, gli aveva comprato l'anima dimostrandogli (a lui e al vasto mondo giovanile che ruota intorno al calcio) che i suoi ingenui sentimenti di ragazzo non valevano nulla di fronte al potere del denaro. Naturalmente la cosa andò a finir male. Lentini, frastornato nel nuovo ambiente, ebbe uno stupido incidente automobilistico, calcisticamente si rovinò, non servì al Milan né il Milan a lui.

E questo mi ricorda una malinconica canzone di De André, Il Re fa rullare i tamburi. Luigi XIV, "in cerca di nuovi e freschi amori", mette gli occhi sulla sposa di un suo generale. Lo corrompe promettendogli di farlo maresciallo di Francia. "Ma la Regina ha raccolto dei fiori, celando la sua offesa, e il profumo di quei fiori ha ucciso la marchesa". E in questa favola gotica, in questa violenza e prepotenza puramente distruttrici, a perdere, si riassume l'influenza nefasta che Silvio Berlusconi ha avuto nella vita del nostro Paese.

 

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