Estratto dell’articolo di Marco Mensurati e Fabio Tonacci per la Repubblica
Ventritré procure stanno indagando sui soldi della Formula 1. Devono recuperare qualcosa come 80 milioni di euro di fondi neri, nascosti al fisco attraverso una complicata rete di società intessuta attorno al versante italiano del "pinnacle of the motorsport", come nel regno anglosassone amano definire il Circus messo in piedi negli anni Sessanta da Bernie Ecclestone.
E c' è una ventiquattresima procura, quella di Monza, a cui è demandato, per competenza territoriale, il compito più arduo: investigare le zone d' ombra del "Sistema" su cui poggia lo sport più globale del mondo, capace da sempre di attirare investimenti pazzeschi.
Scandalo internazionale L' indagine di Monza è partita sei anni fa. Da allora, 82 persone sono state iscritte nel registro degli indagati, rogatorie internazionali sono state inviate in Germania, Svizzera, Inghilterra e Principato di Monaco, cinque "imprenditori" (tra cui Luigi Provini, figura molto nota nell' ambiente delle corse), alla fine del 2017, sono stati arrestati con l' accusa di riciclaggio e frode fiscale. Il lavoro della Guardia di finanza sembrava essersi concluso così, con la discovery di una gigantesca truffa ai danni dell' Erario perpetrata da un centinaio di aziende e con le 23 procure competenti rispetto alle varie sedi impegnate a mettere in atto azioni giudiziarie per recuperare le tasse non pagate.
E invece in queste ore è emerso qualcosa di più inquietante: i finanzieri hanno ripreso a interrogare piloti, manager, dirigenti degli sponsor. Trovando conferme sui due principali sospetti che li avevano mossi sin dall' inizio: 1) il "Sistema" è stato replicato per quasi tutti i Paesi del mondo occidentale che ospitano i gran premi; 2) il "Sistema" è tuttora attivo.
«Quella che abbiamo messo a fuoco - spiega a Repubblica una fonte vicina all' inchiesta - era solo la parte italiana. Ma lo schema si è replicato a livello internazionale, anche per somme più alte». Per dire: alcune delle sponsorizzazioni incriminate hanno riguardato piloti di primo piano come Felipe Massa e lo sfortunato Jules Bianchi, il giovane francese della scuderia Ferrari morto in un incidente in pista nel 2015. «La Formula 1 - continua la fonte - si potrebbe definire come il campionato mondiale del riciclaggio».(…)
Valori gonfiati Anche Nicolas Todt, figlio del presidente della Fia Jean Todt, è stato sentito dagli inquirenti italiani, in qualità di manager di molti piloti, tra i quali Felipe Massa, Pastor Maldonado, Charles Leclerc, Caio Collet e, fino al 2015, Jules Bianchi. Todt non è mai stato indagato dalla procura di Monza. È residente all' estero ed eventuali reati sarebbero stati commessi fuori dal territorio italiano. Nell' inchiesta appare dunque come testimone. Quando Bianchi guidava la monoposto del team Marussia, fu sponsorizzato dall' italiana Gaudì Trade, società attiva da vent' anni nel settore moda, in una triangolazione di contratti che passò per la Profilexi, una delle scatole vuote londinesi.
E però quel contratto da 1.250.000 euro per il marchio messo sul casco, secondo i finanzieri, è gonfiato. Lo ha ammesso anche Nicolas Todt: «Il costo sostenuto (...) è spropositato in quanto Bianchì era un pilota giovane e la Marussia il team più piccolo della Formula 1. In base alla mia esperienza, con questo importo in Formula 1 si riesce a mettere il marchio di uno sponsor sul musetto della macchina. Il marchio Gaudì messo sul casco avrebbe potuto avere un valore di mercato tra i 50 ed i 100mila euro». Quindi, dieci volte di meno.
Lo schema Bianchi è stato usato per anni da molte altre aziende italiane, con piloti di ogni rango e categoria. E qualcuno, ai piani più nobili della Formula Uno, sapeva.
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