Giancarlo Dotto per Dagospia
Se ce la fa, la Juventus può festeggiare il suo quarto scudetto consecutivo. La Roma dovrà sudare sangue, quel poco che le resta, per difendere il secondo posto da Fiorentina e Lazio, più che dal Napoli. Nemmeno il più delirante dei tifosi può crederci più. Nella partita della vita, la Roma esiste solo venti minuti, gli ultimi, sotto di un gol e in dieci, i chiodi già a sigillare la bara.
Quando entrano, troppo tardi, tre vivi in una squadra di fantasmi costipati (Salvo Holebas e Manolas, due greci almeno cattivi). Nainggolan, Iturbe e Florenzi. Lo sfregio di Tevez era arrivato puntuale, quando era solo questione di tempo. Talmente assassini dentro, i bianconeri, più neri che bianchi, da non farsi scrupoli di ammazzare con tanto anticipo un campionato già grottesco di suo.
Il pareggio di Keita non sposta molto. Se non a regalare, si spera, consigli preziosi a Rudi Garcia sulla direzione da prendere, da qui alla fine dei suoi giorni romanisti. Di quello che è stato e non potrà più essere e di quello che dovrà essere. E ora, solo sbadigli giganteschi. Campionato già deciso, in testa e in coda.
Novanta minuti illuminanti. Bastano e avanzano per cancellare pene e rimpianti. Mettono le anime in pace. I nove punti ci sono tutti tra le due pseudo rivali. Era una Juventus senza Pirlo e senza Pogba, ma mille volte più viva per settanta minuti. La Roma riusciva nell’impresa più unica che rara di chiudere il primo tempo con il doppio del possesso palla della Juve, senza mai tirare in porta. Dico mai.
La Roma tiene palla come si tiene la borsa dell’acqua calda su un corpo dolorante. Come andare a caccia di un cinghiale con il fucile a tappo. La Juve ha più gamba e più sangue, fa densità e velocità. Aspetta e riparte. Ferrea, disciplinata e decisa. La Roma è una squadra da calcio balilla. Gervinho, Ljajic e Totti sono fermi, non si parlano, non si scambiano. L’esatto contrario del calcio che immagina Garcia.
La Roma di oggi, degli ultimi mesi, è una brava ragazza che frequenta una terapia di riabilitazione a seguito di trauma da stupro. Ricerca la sua identità perduta, cerca sicurezze, la palla, il gomitolo con cui giocare. Ne esce un calcio scolastico, volenteroso, ma dentro qualcosa si è spento. Soprattutto, si è spento Pjanic. Da un pezzo. Di brutto. E non ha nemmeno l’alibi dell’età.
Complimenti alla Juve. Ha vinto con merito l’ennesimo scudetto. Dicono tutti che sono Pirlo, Pogba, Buffon, Vidal i suoi pezzi forti. Io dico che sono Chiellini e Bonucci, insieme a Tevez. Gente da trincea. Togliete alla Roma Benatia e Castan, vedete cosa resta.