Benny Casadei Lucchi per “Il Giornale”
Sebastian Vettel e i suoi quattro mondiali, le 39 vittorie, le 45 pole position traslocheranno a Maranello dal prossimo gennaio. Ieri, nella mattina giapponese, le due di notte in Europa, la Red Bull ha ufficializzato metà di questa storia.
Quella che le compete: «Dopo anni di successi, Seb a fine stagione lascerà il team». Bla, bla, bla «e lo sostituirà Daniil Kvyat». Di anni 20. Attualmente alla Toro Rosso. Come già fatto a fine 2008 proprio con Seb e come ripetuto a fine 2013 con Ricciardo. «Perché noi crediamo nei giovani, investiamo su di loro, perché in queste scommesse c'è sempre un punto interrogativo, ma fin qui ci è sempre andata bene» ha poi detto Chris Horner, team principal Red Bull. Aggiungendo sornione: «Certo che la Ferrari a Seb ha fatto proprio un'offerta allettante...». Venticinque milioni l'anno.
L'annuncio Red Bull ha spiazzato la Ferrari che se solo potesse avrebbe già comunicato l'arrivo del tedesco al posto di Alonso. Perché gli uomini del Cavallino non stanno aspettando l'insediamento di Marchionne alla presidenza della Rossa il 13 ottobre. Per quieto vivere, per lasciarsi senza porte sbattute in faccia, stanno invece aspettando che Alonso si decida a svelare il proprio futuro.
Chiamiamolo un gesto di cortesia nei suoi confronti che rientra negli accordi appena sottoscritti per la risoluzione amichevole del contratto. Solo che il campione spagnolo sta prendendo tempo perché ha poco in mano: l'offerta McLaren-Honda. Fatta di tanti soldi (35 milioni l'anno) e troppe incertezze. Il motore giapponese è un'incognita e la proprietà McLaren ha i suoi problemi. Ron Dennis cede quote? No le tiene? Chissà?
Altro in mano, Fernando non ha: forse il sabbatico in attesa di cose. Ma sarebbe una follia. Per cui è questo ciò che si nasconde dietro la super cazzola di ieri mattina. Quando ha detto: «La scelta di Vettel non condiziona le mie. Grazie a quanto ho fatto in tanti anni, al rispetto guadagnato, sono nella posizione unica di poter decidere io cosa, dove e quando fare. Tutto si sta muovendo nella direzione giusta ma non è ancora definito al 100%. Un anno sabbatico? Ripeto: qualsiasi cosa deciderò di fare, la farò quando vorrò io».
In pratica non sa dove andare. La sensazione è che stia attendendo una qualche forma di implosione in casa Mercedes, un duello fratricida, autoscontri, accoltellamenti vari che spingano i tedeschi a mandar via uno fra Rosberg o Hamilton. Altro motivo plausibile per non dire “ok ragazzi, vado alla McLaren”, non sembra esserci. Per cui i tifosi se ne facciano una ragione: non è Alonso che lascia la Ferrari. È la Ferrari che ha cacciato Alonso. Mettendolo alla porta con l'uso del fioretto. Ma rischia molto. Perché Fernando è un fuoriclasse, perché anche ieri a Suzuka era 5° con un'auto che va poco e le due Red Bull dietro. E perché i tifosi sui siti sono già scatenati: il 70% dice Fernando più forte di Seb.
Fa nulla. In Ferrari, di lui, non ne potevano più. La nuova gestione chiedeva tempo (programma di tre anni), fedeltà e coesione. Lui chiedeva più soldi, più voce in capitolo sui tecnici e aveva fretta, molta fretta. Anche ieri: «La Ferrari non è un team che deve aspettare 2 anni per puntare a vincere...». Alla fine pare abbia anche provato ad abbassare le pretese. Niente da fare. Il Cavallino stava ormai galoppando altrove, verso altra Svizzera, dove Vettel vive con la moglie e la figlia nata in gennaio.
Ieri ha detto: «Non è che vado via perché quest'anno in Red Bull è stato difficile», vedi Ricciardo e le sue tre vittorie a zero. «Ho scelto con il cuore». Ha detto così perché è iniziata l'operazione simpatia e perché vuole subito disinnescare quel tifo rosso che solo un anno fa, a Monza, l'aveva fischiato («credo di essere abbastanza maturo per capire il loro disappunto senza prendermela...»).
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Ma a Maranello, provati come sono da cinque anni vissuti malamente, in grandissima parte per colpe loro, in parte per colpa di Alonso, non contano più le parole e le dichiarazioni d'amore. Anzi, quasi quasi non contano i quattro mondiali di fila vinti da Vettel. Conta soprattutto il silenzio che il tedesco ha saputo tenere lungo tutto questo suo tormentato anno. Con il giovane compagno che vinceva e l'umiliava, con la sua macchina che non andava e lo tradiva. E lui muto, zitto, comunque uomo squadra. Stile Schumi. Suo padrino.